Murasaki no Bara no Yume  - Glass no Kamen  * Il Grande Sogno di Maya * Anime, Manga, Drama, World e Fanwork

Posts written by LauraHeller

view post Posted: 15/2/2021, 16:31 Chiarimenti - Fanfics mordi e fuggi
Grazie, Romina, sempre molto gentile e carina!
view post Posted: 11/4/2018, 07:28 Vaghe Stelle del Cielo - Fanfictions concluse
Grazie mille, Syl, molto obbligata per il tuo commento. Adoro regalare emozioni. La scrittura non avrebbe molto senso, se non fosse esercitata per questo fine. Alla prossima.
view post Posted: 5/3/2018, 17:00 Destini - Fanfictions concluse

Epilogo



Vivo la vita e sono felice.
Sono tornata al Kyoshoto in una mattina di sole, con i cumuli di neve ai lati della strada ancora belli alti, ma pronti ad arrendersi al tepore della primavera.
Contare qualcosa serve anche a riaprire i giochi quando i comuni mortali pensano che siano chiusi per sempre: da quel giorno, io sono entrata a far parte della cerchia dei privilegiati cui tutto è concesso. Anche se a me, francamente, interessa solo recitare.
Ayumi mi ha guardato col broncio, ma io so che è felice di questo nuovo corso: competeremo per La Dèa Scarlatta e, a chiunque di noi andrà quel ruolo, accetteremo tutto di buon grado. Così doveva essere e così sarà.
Io ho baciato Masumi - non una, ma mille volte - e sono andata ad Izu, dove ho fissato la mia dimora in attesa che si celebri il nostro matrimonio ufficiale. Non abbiamo bisogno di carte, ma è un Paese, il nostro, in cui le convivenze non sono ancora bene accette dalla comunità di bempensanti. Convoleremo a nozze dopo lo spettacolo dimostrativo, qual che sia il risultato.
Eysuke continua a vivere a Villa Hayami e so che molto spesso invia regali alla sensei Tsukikage.
Oggi è venuta a trovarmi al Kyoshoto per supervisionare e vedo in lei tutta la gioia di ritrovare la sua allieva prediletta nel posto in cui deve stare. La sua salute pare aver giovato dal mio ritorno ed è più dura che mai, specie laddove pecco ancora - e tanto - per mancanza di stile.
Questo copione mi ha insegnato a quadrare il cerchio. Io e Masumi, insieme, abbiamo chiuso una parentesi di dolore iniziata dopo la guerra dalla sensei Tsukikage e dal maestro Oozachi. Non so se abbiamo ereditato realmente la loro anima, ma, per certo, eravamo lì per commettere i medesimi errori. Abbiamo capito, Masumi e io, di dover agire diversamente anche per dare un senso al loro amore e porre fine a una spirale di dolore immane e insensata.
Che gli dèi ci vogliano infelici e vittime delle convenzioni è un pregiudizio cui nessun umano dovrebbe essere soggetto. Il fine dell’uomo è quello di una pianta, di una stella, di una pietra. E ognuno è felice di essere ciò che è. La società non può fermare il corso del fiume e, se lo fa, le conseguenze sono nefaste.
Questo è l’insegnamento più profondo del capolavoro scomparso ed è anche ciò che ha dato valore alla mia vita, che cerco di vivere il più felicemente possibile, momento per momento, giorno per giorno. Di fianco a colui che amo, la paura non esiste. Siamo uno.
Per sempre.
view post Posted: 1/3/2018, 21:00 Destini - Fanfictions concluse

Capo decimo



Lo guardo, mentre, sopraffatta ancora dall’emozione di trovarmi di fianco a lui ancora una volta, guadagno la via della finestra e mi metto a contemplare lo spettacolo della neve che cade. E’ fine, ma copiosa. I cumuli di fianco al vialetto che porta al cancello della residenza Hayami sono alti almeno mezzo metro. Uno dei dipendenti addetti al giardino, defilato, sta spazzando nei pressi di una grossa siepe.
“Sono tornato qui per la prima volta dopo diversi mesi.” mi dice raggiungendomi.
E’ dietro di me, ne sento quasi il calore.
“Ho lasciato questa casa poco prima dell’incidente di Hijiri.” racconta “Non volevo più vivere seguendo le disposizioni di mio padre.”
Suo padre.
“Sa, Hayami-san, è venuto al Manpuku.”
Egli aggrotta le sopracciglia:
“Eysuke? Davvero?”
“Non so perché l’abbia fatto. Forse, nutre qualche senso di colpa. Questa è la mia conclusione, almeno.”
“Tu hai visto e continui a vedere solo buon cuore, nel prossimo.” pare rimproverarmi “Ti assicuro che non c’è nulla, nel mio vecchio, che non sia riconducibile a un preciso fine economico.”
“Non vedo in che modo, nel mio caso, possa pensare ad un possibile tornaconto.” dico con tono basso “Oramai, io sono fuori dai giochi.”
E appoggio la mano al vetro gelato, come a fermare la neve. Che, per effetto del vento, una volta discesa, danza verso l’alto, in una danza disordinata di cristallo finissimo.
“Mi è sempre piaciuta la neve.” mormoro “Morire non è difficile, quando cade.”
Sento le sue mani su entrambe le mie spalle:
“Maya, non dirlo neanche per scherzo. Come siamo giunti a questo punto?”
“E la signorina?” dico cambiando apparentemente discorso.
La stretta si fa più forte, ma non dolorosa:
“Da qualche tempo, non è più in sé.” confessa “Credo che, dopo l’episodio dell’anello e, poi, dell’abito da sposa, sia diventata fuori controllo.”
“Fuori controllo...?” ripeto scioccata.
Masumi annuisce:
“Ho fatto ricerche. L’anemia perniciosa può causare problematiche non indifferenti a livello psichico e le condizioni mentali di Shiori, dopo il tentato suicidio, sono peggiorate. L’hanno trasfusa, ma è come se qualcosa, dentro di lei, si fosse rotto per sempre.”
“Davvero non capisco...” balbetto incerta “E’ fattibile, questa cosa?”
Io sono una ragazza con pochi mezzi intellettuali: la mia istruzione è quella che è. Per me si nasce già con una qualche propensione alla follia. Com’è possibile che Shiori abbia tenuto nascosta la sua condizione per venticinque anni?
“E’ probabile che nessuno si sia mai accorto di questo disagio.” mi dice Masumi “Lei è sempre stata molto timida. La paura che contraesse qualche virus che andasse a sovraccaricare un sistema immunitario debole ha fatto sì che i suoi prendessero delle decisioni sciagurate: chiuderla in casa non è certo una soluzione. E, finora, l’unico sole che Shiori ha visto è stato quello che filtra attraverso i vetri di una serra. Le luci che ha visto sono quelle della città, scambiate per stelle rassicuranti. Una volta, mi ha persino detto di amarle.”
E la stretta si fa forte una volta di più.
“Lei non le ama.” sorrido “Non può amare ciò che è artificiale. La natura è così bella! Perché sostituirla con la creazione dell’uomo, quand’essa potrebbe ben governarci?”
Mi gira piano, costringendolo a guardarlo negli occhi:
“Sono sopraffatto dai sensi di colpa. Ciò nonostante, avevo promesse a Hijiri di vederti a Izu. Non siamo lì, ma siamo comunque insieme. Ancora una volta.”
Ed è terribilmente difficile stare lontani o staccarci l’uno dall’altra, quando la distanza tra noi è tanto esigua.
“Hayami-san, mi dica...ho bisogno di sapere: crede sia da egoisti sacrificare la propria felicità solo perché, per senso del dovere, dobbiamo contentare chi ci sta accanto? Per mesi mi sono tormentata, dopo la morte di mia madre, sulla mia decisione di intraprendere la carriera d’attrice. La felicità che derivava solo calcando le scene mi impediva, però, di restare sopraffatta. Non capisco perché, dopo l’incidente, il mio atteggiamento sia radicalmente mutato. E’ come se non avessi più forza.”
“E’ lo stesso per me, Maya.” mormora stringendo le belle labbra, che attirano tutta la mia attenzione per quanto sono ben disegnate e sensuali.
Ci avviciniamo l’uno all’altra, ma la porta si apre e il distacco è quasi automatico.
“Benvenuta nella residenza Ayami, Maya-chan.” dice Eysuke entrando “Solo lei avrebbe potuto riportare il mio unico figlio a casa.”
Ha guardato Masumi quasi con sdegno, nonostante le parole all’apparenza dolci rivolte al mio indirizzo.
“Padre...” comincia a dire Masumi, ma Eysuke lo ferma con un solo sguardo.
“Non si va in giro con queste condizioni meteo, signorina.” si rivolge direttamente a me, mentre, con la sedia a rotelle, viene avanti.
Mi fa male la gamba.
Tanto, anche.
“Il medico sarà qui tra poco.” continua “Così mi ha detto la governante.”
Stavolta si rivolge a Masumi.
“Sono certo che troverà una soluzione al suo problema.”
“Non voglio il suo aiuto.” dico a labbra strette “Farò come ho sempre fatto. Per favore, Hayami-san, mi riconduca a casa.”
E, mentre pronuncio la parola casa, una fitta dolorosa mi trapassa il ginocchio.
“A casa?...”
Stavolta, è Eysuke Hayami a stupirmi.
“Casa la chiami?” ribadisce.
“Io non ho altro posto in cui andare.” rispondo.
“Ed è perché quella è la tua casa che sei uscita nella neve, mettendo a repentaglio la tua vita?” chiede di rimando “Quel posto dove tutto puzza di unto e il vecchio gestore ti sbava addosso?”
Era evidente, ma, come tutto ciò che si riferisce a me e alla mia vita, sono stata l’ultima ad accorgermene.
Masumi si è irrigidito: me ne sono accorta perché l’ho guardato dritto negli occhi azzurri.
“Ti ha toccato?” mi domanda infatti con tono appena udibile.
Io mi affretto a negare col capo:
“Non ci è riuscito. Sono sgusciata via.”
“Maya-chan,” si intromette Eysuke “non devi tornare laggiù. Non voglio che ci torni. Per nessuna ragione al mondo.”
Lo guardo spiazzata.
“Forse, tu non mi crederai, ma ho sempre avuto grande stima di te e...ho adorato il tuo talento. Sei stata un...motivo di riflessione straordinario, lo sai? Nelle mie notti insonni e...astiose, all’indirizzo di Ichiren e della sensei Tsukikage, la tua luce straordinaria, come anche la tua sincerità, mi hanno dato da pensare. Dopo il nostro primo incontro ...artistico, allo spettacolo Lande Dimenticate, io ho iniziato a rivedere alcune delle mie posizioni. Sono venuto da te, al Manpuku e, sinceramente, ti ho fatto notare che trovo scandalosa la tua scarsa considerazione del talento che possiedi. Non può andare sprecato: tu eri...tu sei...la ragazza più talentuosa che abbia mai conosciuto. E il tuo talento è tale da renderti bellissima e inconsapevole. Non hai bisogno di dimostrare: tu splendi e basta. Vorrei tanto vederti nei panni di Akoya, ruolo per il quale, ne sono certo, tu sei nata.”
“Perché non me lo ha detto prima?” chiedo debolmente “Io ho visto che era sincero, nei miei riguardi. Quando ho scoperto che era il padre di Masumi, ho faticato a capire...Come poteva essere il mio caro amico del parfait al cioccolato o delle bibite in lattina?”
“Perché, Maya, gli uomini vivono più per il loro interesse che per altro. Gli uomini sono egoisti e non pensano al futuro del mondo, che è interamente in mano all’amore.”
Non posso credere che sia lui a parlare.
“Quante persone sono finite in fumo prima che giungessi a questa illuminata conclusione, padre?”
Masumi è furente, adesso e non mi ci vuole molto per capire che si riferisce a sua madre.
“Quelle che sono state necessarie!” sbotta il vecchio “E, del resto, neppure tu, prima di conoscere l’amore, eri uno stinco di santo!”
“Io ero quello che tu avevi creato!” sbotta Masumi “Io sono diventato Masumi Hayami dopo il mio rapimento, rammenti? Sono diventato Masumi Hayami quando hai dichiarato con freddezza che non ero tuo figlio!”
“Ti ho insegnato tutto ciò che era necessario a che sopravvivessi.”
Eysuke prova ad alzarsi dalla sedia a rotelle.
Masumi, più per istinto che per abnegazione, è pronto a sorreggerlo, ma lo riconduce piano a sedere. La sua gentilezza, nonostante il dolore provato, mi scioglie il cuore di tenerezza.
“No, caro mio, ti ha insegnato tanto di più.” sussurro affettuosa “Ti ha insegnato, per paradosso, come non sarai mai. Tu sei buono, Masumi. E sei il mio amore.”
Mi stringo al suo braccio, che sento tremare vistosamente. Per un istante siamo stati tutti e tre indissolubilmente legati.
view post Posted: 28/2/2018, 08:54 Destini - Fanfictions concluse
Non ancora, no.
C'è tempo per l'amore.
O, forse, non c'è più tempo.

Capo nono



“Non mi serve, davvero. Io non faccio più l’attrice.”
So benissimo di darmi la zappa sui piedi. Lui coglierà la palla al balzo e me ne dirà d’ogni sorta. Come, di fatto, fa.
“Sei sempre la solita.”
Mi rivedo con addosso una giacchetta Anni Ottanta dai colori fluo, i jeans arrotolati sulle caviglie e le scarpette All-Star di tela.
“Sei qui per un solo motivo.” riprende “Ti ho trovato nella neve. Stavi congelando. Suppongo che questo non conti molto per te, giusto?”
“La mia vita è il teatro.” penso, ma non glielo dico.
Il teatro che non ho più.
“Devo tornare indietro.” dico cercando di alzarmi, ma la testa mi gira e ricado indietro, il morbido della coperta agnellata sotto il sedere.
Indietro dove, però? Non certo alManpuku. Non potrei, dopo quanto accaduto poche ore fa. Dove, dunque? Non ho lavoro, non ho denaro, non ho casa.
Le mie mani piccole afferrano la coperta e lui nota immediatamente che quel disagio non è certo dovuto al fatto che ci ritroviamo faccia a faccia ancora una volta. Non è certo il sentimento mai sopito a renderci così goffi e imbalsamati.
“Non tornerai al ...tuo ristorante.” dice fermo. E capisco che sa.
“Senta, signor Hayami,” comincio “io non so dove andare. Non ho una famiglia né una casa. Di certo, però, non posso stare qui.”
Raccolgo nuovamente le energie per alzarmi. Barcollo un poco, ma riesco.
“Torna a sedere, ragazzina!” sbotta.
Stare ancora qui? Con la signorina Shiori che dorme nella camera accanto? Il pensiero mi è indigesto quanto quello del padrone del ristorante.
“Non posso stare qui, dopo quanto accaduto e lo sa bene.” dico ferma tanta nella posizione quanto nel tono.
“Non disturberai nessuno in quest’ala della casa e, ti avverto, i miei dipendenti hanno l’ordine di bloccare chiunque tenti di uscire dalla porta.”
“Tra poco, vedrai il medico.” rincara “E’ giusto che la tua gamba torni ad essere perfettamente funzionale, ti piaccia o no.”
“Le ho già detto che non tornerò sulle scene!”
Ho urlato?
Lui mi afferra per entrambe le spalle.
“Perché rinunciare? Perché distruggerti così?”
Perché ci sono cose che non possono essere scisse. Non solo l’atomo, no. Ed è assurdo che proprio lui mi faccia un discorso di tal fatta, visto che, come me, ha spezzato in due parti il suo stesso cuore.
Oltre al mio.
“Lei sa benissimo a cosa mi riferisco.” tergiverso, per poi cambiare subito discorso “Come sta la signorina?”
Si sta come d’autunno gli alberi le foglie.
“Ti interessa davvero sapere?” mi chiede scontroso.
Io annuisco:
“Naturalmente, dal momento che è per questo che non ha mantenuto la sua promessa.”
Egli abbassa il capo.
“Perché tu l’avresti, forse, mantenuta, se Hijiri non fosse morto?”
“Io stavo venendo da lei!” gli dico con gli occhi pieni di lacrime “La mia promessa era più che mantenuta! Era sottiscritta. Era già realtà. E mi aspettavo che lei corresse da me, visto che eravamo sulla strada per Izu!”
“Non potevo.” mormora con tono più piano “Hijiri, di fatto, non esisteva già, Maya. Lui era un dipendente-ombra della Daito Art Productions.”
“Un dipendente...ombra?” ripeto incredula.
“Hijiri era già morto. Per la legge. Per lo Stato.”
Mi spiega cosa significa ed io quasi boccheggio. Questa, dunque, è la realtà vissuta dai grandi dell’alta finanza? Una realtà nella quale si può smettere di vivere pur restando in vita? Capisco perché Shiori sia andata fuori di testa. Capisco che sono abituati a vivere in modo così assurdo, così al di sopra delle possibilità di un comune mortale, da non capire perché una persona inutile come me possa anche solo disturbare i loro progetti.
Capisco che non è il Fato, ma l’uomo a decidere i destini.
Forse, è “destino” che uno come Masumi possa provare un qualche interesse per me, ma tutto il resto è volontà dei potenti, di quelli che contano.
Non riesco davvero a credere come si possa manipolare tanto la realtà. E’ qualcosa che la mia testa non può né concepire né, tantomeno, conchiudere in un assioma semplice e razionale.
Egli mi dà le spalle.
Intuisco che di Shiori non vuole parlare: del resto, tutto quel che so della signorina mi è stato raccontato da Hijiri durante il nostro viaggio in macchina verso Izu. Prima della tragedia.
“Perché non vuole spiegarmi?” domando piano “Che cosa avrei dovuto fare, dopo che ci ha lasciati lì, sul ciglio della strada? Non avrei dovuto fermarmi, visto che lei stesso aveva fatto così? Chi dei due è più adulto, Hayami-san?”
“Credevo che avessimo già sdoganato il fattore età, ragazzina.” mormora amaro.
E torna a fissarmi negli occhi.
“Si dice che le anime gemelle siano destinate a un comune destino.” afferma “Questo, però, non significa che si possa vivere come se gli eventi non ci toccassero. E gli eventi, talvolta, accadono perché devono accadere.”
“Non tiri in ballo il Fato!” sbotto pensando alla mia riflessione sul destino degli uomini “Sa perfettamente che non è così. Ancora una volta, siamo stati noi - io e lei - a decidere di non farci avanti.”
Lo raggiungo alla finestra: la pressione sanguigna si è come ridestata di colpo.
“Ha mai pensato, Hayami-san, che stiamo condannandoci all’infelicità?”
Egli sospira:
“Prima dell’incidente, è accaduta una cosa ben strana.”
Ora è imbarazzato, quasi.
“Eravamo nel mio studio privato, ad Izu. Eravamo soli, Hijiri ed io.” racconta “E lui, ad un certo punto, quando ha visto che stavo tirandomi indietro, ha detto una cosa che mi ha fatto sbarellare. Ho reagito in modo inaspettato persino per lui, già così avvezzo a vedermi in ogni posa umana possibile.”
“Che cosa è accaduto?”
“Ho vergogna a dirtelo.” afferma “Ti dirò, però, quali parole ha pronunciato dopo quell’episodio: voglio che lei sia felice. In un certo senso, adesso, tu stai ribadendo quello che Hijiri ha sempre pensato. Siamo noi gli artefici della nostra infelicità. E se anche la sensei e Oozachi fossero andati incontro a un fato nefasto per avere rinunciato all’amore vero? Ecco, da qualche tempo, come te, anche io inizio a ricredermi su tante cose.”
view post Posted: 26/2/2018, 11:31 Destini - Fanfictions concluse
Capo ottavo

“Che cosa sta facendo?” domando prima che le sue mani possano raggiungere le mie spalle.
Agilmente, mi divincolo:
“C’è tutta una sala da servire!”
Lui si passa la manica della camicia unta sulla bocca: un filo di bava gli imperla le labbra ed è veramente uno spettacolo umano disgustoso. Ora non ho più dubbi: se per sakè od altro, ci ha provato. Ha provato a mettermi le mani addosso.
“Non ci provi.” ribadisco con forza “Né ora né dopo, a luci spente. Io la denuncio.”
Ridacchia come chi ha il coltello dalla parte del manico, ma tutto quel che blatera lo recepiscono le mie spalle, visto che i miei occhi hanno già infilato la porta.
Salgo le scale sul retro, decisa a recuperare le mie cose, ad andarmene anche da qui.
Dove? Con l’inverno giapponese già così freddo e devastante, con la neve ammucchiata ai lati delle strade a rendere gelide anche le notti terse e i giorni e i pomeriggi. Sono in totale confusione, davvero. So solo che non posso continuare a restare in un luogo in cui qualcuno ci ha provato, incutendomi un terrore non ancora noto.
“Ci mancava solo questa...” balbetto tra le lacrime, mentre insacco i miei pochi vestiti in una busta.
E penso che sono solo una stracciona priva di prospettive.
E penso di nuovo a Hijiri, al sorriso dell’amico più caro pronto a raccogliere le mie lacrime.
Penso che non c’è più.
Torno precipitosamente dabbasso e, dribblato il vecchio maiale, esco nel freddo.

Per quanto tempo ho camminato?
I pensieri che affollavano la mia mente si mescevano ai cristalli di ghiaccio. Il freddo mi penetrava le ossa.
In fondo, la neve mi è sempre piaciuta. E’ come una coperta - gelida, certo - che copre le sozzure prodotte dall’essere umano.
Avevo la testa dolente, ma non così tanto da procurarmi dolore ingestibile. La gola era conficcata di minuscoli spilli, a strozzarmi parole in bocca.
E’ così che si sentono i prigionieri? La gamba destra, a un certo punto, non l’ho più sentita. Poi le mani, poi il resto, poi la stessa coscienza.

C’è qualcosa che somiglia a un’anticamera, prima che la morte soggiunga? Qualunque cosa sia, non mi piace. E’ intollerabile aspettare che un Fato ineluttabile si compia, che prolunghi l’attesa.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.”
Il mio corpo è completamente gelato. Un frigorifero non potrebbe tenermi meglio di così. Però, ad un certo punto, ho sentito come un anello all’altezza delle braccia e della vita. Quell’anello mi ha presa con dolcezza ed ha cominciato a procurare calore dove il gelo imperava.
Ho sentito l’alito dolce e tiepido tipico della Valle dei susini: solo laggiù il gelo è mitigato dai fusti possenti degli alberi. Solo lì la neve, la nebbia, tutto si tinge di scarlatto.
Non voglio più andarmene. E’ questo il mio posto, lo so.
Ed è il posto in cui c’è lui.
“Non posso crederci...” dico piano, mentre mi metto a sedere.
Conosco questo letto. Ci ho già riposato e in circostanze del tutto simili a questa. Solo leggermente meno fredde.
E, poi, finalmente, si apre la porta. Ho appena fatto in tempo a tastare con le mani la morbida coperta agnellata che mi comunica un tepore meraviglioso, che già il mio cuore parte e va a mille.
“Hayami-san...”
Ed eccolo lì.
Di nuovo davanti a me.
Di nuovo, <già visto>.
Sono passate poche ore dacché ci siamo incrociati, ma io so che, quando siamo soli, è diverso. E’ sempre diverso.
“Stai bene?” mi chiede con tono asettico “E’ veramente assurdo che tu debba trovarti in situazioni di pericolo...”
Sta per nominare Hijiri, ma non lo fa. Del resto, non ne ha bisogno.
“Tra poco,” continua “arriverà un medico.”
“Ma non è necessario...” balbetto distogliendo lo sguardo “Non ho la febbre e sto bene...”
“Non è per la febbre.”
Sta per sminuire quel che vuole dirmi, che è abbastanza intuibile.
“E’ per la gamba.” mormora due decimi di secondi dopo “Ho notato che la trascini ancora.”
“Non occorre.” dico piano “Non mi serve una gamba perfettamente funzionante e, poi, non mi fa neppure male.”
“Non ti serve una gamba perfettamente funzionante.” ripete come a farsi beffe di me. Io so già che sta per sbottare e malamente.
“Non ti serve...?” rincara e ridacchia ironico.
view post Posted: 22/2/2018, 16:37 Destini - Fanfictions concluse

Capo settimo



“Dov’è Isshin, quando ho bisogno di lui?” ridacchio mentre asciugo le mie lacrime con un lembo del grembiule unto.
Penso alla nonna e, d’improvviso, il tanfo del fritto si trasforma in un aroma dolciastro via via sempre più delicato e rarefatto. E’ il susino scarlatto, sì. Ed è la Valle dei Susini, questa. Il mio aspetto ordinario non è più segno di demerito impresso dagli dei saccenti, ma semplicemente un essere parte del Tutto. In natura non c’è, infatti, superiorità o convenzione sociale: ognuno gioca il suo ruolo e riveste pari importanza.
Vedo, intorno a me, persone che, come api, sciamano mentre si dedicano al lavoro che dà loro il pane quotidiano: si affaccendano per garantirsi la sopravvivenza. Io sono tra questi: il mio scopo nella vita è sopravvivere, sì.
“E’ una cosa inspiegabile, questa.”
Mentre penso a queste cose, mi avvicino alla piazzetta del villaggio e già scorgo i capelli mossi di Isshin, odo la sua voce pastosa, ne sento il profumo di limone.
“Ci affaccendiamo tutto il giorno perché? Dobbiamo garantire sopravvivenza a noi e ai nostri cari.”
“Sì, ma, a lungo andare, questa vita così monotona stanza.” gli fanno eco “Arriva la guerra e ci distrugge i campi; arriva il fermier e ci strozza di tasse...”
“Perché credete di essere nati per qualcosa di superiore? Per qualcosa che non sia questo?” insiste il mio amore “L’uomo ha creato le religioni e la filosofia per sfuggire al suo fine primario.”
“Ora stai bestemmiando, ragazzo.” sibila mia nonna avvicinandosi a lui “Vuoi tirarci addosso tutte le maledizioni divine?”
“Nonna, perché gli dei dovrebbero punirci per tutte le volte che apriamo bocca e non quando palesiamo legittimi dubbi nel segreto dei nostri pensieri? Io non credo che, alla tua veneranda età, andando a dormire la sera, tu non abbia mai nutrito qualche perplessità sul tuo ruolo nel mondo.”
Apre le braccia, come ad indicare lo splendore della Valle tutto intorno:
“La natura geme intorno a noi. Il fine è vivere! Semplicemente vivere.”
Isshin non sta rivolgendosi a loro o alla nonna: sta ricordando a me quel che abbiamo intuito già da tanto tempo.
“Noi siamo la stessa cosa.”
In questo detto è riassunta la grandezza e anche il senso della giustizia che anima tutto il creato. Che vige anche in questa umanità che si affanna ad evidenziare provenienza e classe sociale. Inutilmente: ché, oltre alla tomba, vero giudice democratico del mondo, vi sono anche gli intenti comuni e, in ogni vena, di là del colore della pelle, scorre sangue.
“Ragazzo, credo che le botte in testa ti siano state fatali.” taglia corto la nonna, che lo lascia in mezzo alla piazza.
Mi accingo a raggiungerlo, ma l’odore del fritto vince sulla tenera brezza e sono di nuovo in cucina, col viso appicciato di lacrime oramai asciutte e il padrone che mi ringhia qualcosa che le mie orecchie non sono ancora in grado di percepire.
“Senti, ragazza, io ti ho ripreso qui perché mi facevi pena e per onorare quella santa donna di tua madre, che gli dèi l’abbiano in gloria! Il fatto che tu sia zoppa è già una vergogna: non attiri certo la clientela. Se, poi, ci metti anche il fatto che vivi in un’altra dimensione, la tua situazione peggiora.”
Si avvicina a me. Le ultime parole le ha pronunciate in modo diverso, quasi suadente. Non c’era rimprovero, ma il tono tipico di chi rimprovera una bambina viziata.
E non mi piace.
Non mi piace l’odore di quest’uomo, come non mi piaceva quando avevo tredici anni.


Ho sempre pensato al perdono come a una delle più grandi virtù dell'uomo. A volte, però, si incontrano persone perfide, che intralciano il cammino, che feriscono gratuitamente, che cambiano destini solo per il mero piacere di farlo. Il loro motto è "Mors tua vita mea".
Perché, forse, credono di poter sfogare il loro delirio d'onnipotenza (o la loro nullità) su chi è buono e non reagisce. Mostrano finta compassione e,appena scorto il vicino di spalle, lo pugnalano. Gente falsa, cui non vale neppure la pena portare rancore e per la quale il termine perdono va sostituito con semplice indifferenza.
view post Posted: 21/2/2018, 16:54 Destini - Fanfictions concluse

Capo sesto



“Signor Hayami...” balbetto “Cosa ci fa qui?”
Egli socchiude gli occhi.
“Per mangiare un parfait al cioccolato, ovviamente.” dice con deliberata lentezza.
Credo sappia benissimo che qui non servono cose di questo genere.
E, infatti, non ho cuore di replicare.
“O un succo d’arancia in lattina, magari. Mi piace tutto ciò che fa le bollicine.”
“Che cosa ci fa qui?” richiedo, mentre il cuore mi sale in gola. Non mi ero mai sentita così da molto tempo. Fuori posto. Fuori luogo. Eppure, è il mio ambiente.
Siccome non mi risponde di nuovo, mi giro per raggiungere il bancone e recuperare la lattina.
Noi non vendiamo parfait e lui lo sa bene. Di sottecchi, studio il suo viso. Sento i muscoli del mio contrarsi come se, per effetto spontaneo, sorbissero le sue rughe, le sue espressioni, gli stessi peli del viso. E mi sento ingrigire.
Com’è essere il generale Millepiedi?
E’ ingobbirsi e diventare piccoli e tarchiati.
E’ sapere di non essere amati.
E’ essere arrivati in fondo alla classifica e avere bruciato il proprio buon cuore per vendetta.
Non è bello essere il generale Millepiedi, no.
Lui mi guarda a sua volta. Percepisco la sua noia, ma credo sia consapevole del fatto che sia indotta.
Lo raggiungo e di nuovo mi scruta negli occhi.
“Come se la passa, Maya-chan?”
Io ricambio o sguardo, con una serietà che credo gli dia i brividi.
“Il gorgo è sopra di me.”
Capisce perfettamente a cosa mi riferisco, ma impallidisce perché non dovrei utilizzare quella metafora. Per lo meno, non dovrei farlo io, visto che solo suo figlio ne conosce la storia.
Ma io e suo figlio avevamo un legame, se non fisico, se non di ambiente, di testa.
“...quindi,” minimizzo “posso dire di stare bene, grazie.”
“Mi lasci dire quanto ancora mi dia da pensare la sua...sciagurata decisione.”
Oggi? Dopo mesi?
Ho perso la cognizione del tempo, è vero, ma ho la sensazione reale che sia passato un secolo e la mia domanda tradisce questo falso concetto.
“Perché?” chiedo con semplicità “Non è così che doveva andare, forse?”
La mia voce tradisce una nota di acredine. E, una volta sfuggita, si tramuta in un tremor di labbra e nella lucidità di uno degli occhi.
“E’ così che va il mondo, non è vero, Hayami-san?” ribadisco, la lattina che trema nella mia mano sinistra “Il genio, se viene al mondo in un terreno non consono, ha una duplice scelta: rassegnarsi o prostituirsi al profitto. Me lo ha insegnato lei, signore. Ed è stata una lezione di vita che suo figlio ha recepito a sua volta, se non rammento male.”
Egli abbassa lo sguardo e pare vergognarsi sul serio.
“Maya-chan,” comincia “io ho sempre avuto molta stima di te. Non ho mai finto di gradire la tua compagnia perché l’ho gradita sin dal nostro primo incontro. Non sei mai stata un’approfittatrice e quelli smaliziati come me apprezzano certi...particolari.”
“Ma non ero abbastanza.” dico piano “Perché, Hayami-san? Anche con la signora Tsukikage, ha preferito non mostrare il suo buon cuore!”
Mi siedo accanto a lui:
“Per giorni, dopo aver scoperto la sua identità, mi sono tormentata: è possibile che una brava persona finisca per comportarsi come un demonio? ...che non riesca ad ammettere di voler bene a qualcuno?...che finisca, addirittura, per rovinare la carriera di colei che ama sol perché è stato rifiutato? Beh, ci sono arrivata, a quella risposta. Oggi so qual è la verità!”
Ed è perfettamente inutile che gli dica cosa penso: che il suo buon cuore non esiste e mai è esistito.
Mi prende per mano, bloccandomi ed io ricado, mio malgrado, sulla seggiola.
“Non volevo che finisse così!” sbotta “Avrei tanto voluto vedere la tua dea scarlatta!”
“A patto che ne concedessi i diritti alla Daito, giusto?” sibilo con le lacrime agli occhi “E’ questa l’arte, per lei? Una squallida competizione tra primedonne? Una fonte di guadagno?...Beh, le dico io cos’è l’arte per una come me, Hayami-san! E’ la vita! Il teatro mi ha dato tutto! Mi ha dato un’identità e uno scopo nella vita. Recitare era la mia unica dote: io ero nata per fare l’attrice ed ero nata per essere Akoya!”
“Tu e tu sola hai rinunciato ad esserlo!” mi dice arrabbiatissimo.
Io annuisco:
“Il carico sulle mie spalle, specie dopo la morte di Hijiri, s’era fatto spaventoso. E il mio donatore di rose scarlatte non era più lì a sostenermi, distratto da legittimi motivi e, soprattutto, pressato da lei, signore. Che cosa avrebbe dovuto fare Masumi? Rinunciare al suo cognome? In un posto come il Giappone, scelte come queste sono scellerate! Adesso mi scusi: il padrone mi licenzierà, se tardo al bancone e ho decine di altri clienti da servire. Beva pure con calma la sua lattina: la detrarrò dalla mia paga giornaliera.”
So bene di fargli pena. Vedo i suoi occhi piccoli indugiare sulla mia schiena e sulla gamba destra, che mi fa male. E’ un dolore sordo, interno.
“Maya-chan!” mi chiama, ma io non gli do retta e corro in cucina, dove sfogo tutte le mie lacrime.
view post Posted: 20/2/2018, 16:29 Destini - Fanfictions concluse

Capo quinto.


Credo che l’amore sia così.
E’ tacitamente condiviso il fatto che i percorsi cambino a seconda delle circostanze, a seconda dei soggetti coinvolti. Noi - io e l’altra metà della mia anima - siamo inclini al fraintendimento. Probabilmente, perché non riusciamo a realizzare la grande fortuna che ci è capitata semplicemente incontrandoci.
Da una semplice uscita a teatro, peraltro casuale e con contorno di bagno nelle acque gelide dell’oceano d’inverno, è iniziato tutto questo. Un tormento che sa di epocale. E’ come una saga, un racconto epico dell’età classica. E’ come La Dea Scarlatta, ma più della Dea Scarlatta.
E, allora, perché?
Perché ci sono momenti in cui i sensi di colpa e gli eventi ti comunicano drammaticamente che non è il momento. Che questo momento è passato o deve ancora venire. Nessuno può saperlo ed è per questo che nasce la sofferenza.
Ho visto Masumi. Trascino la mia gamba destra alla stregua di un pensiero da allontanare. Sì, è invecchiato, ma mai quanto me, che sembro davvero avere il doppio dei miei anni. Alla sensei è toccato in sorte uno sfregio, a me un arto guaribile che, però, non voglio sistemare. E’ un monito a non più sbagliare: non si cambia il destino.
Tutto è iniziato tra questi tavoli: avevo l’unto del fritto persino nelle unghie fragili, quando avevo tredici anni. Ed è così anche ora, perché tutto torna. Perché ho commesso un peccato di tracotanza, abbandonando il mio fato, che è questo.
Ineluttabilmente, infatti, son tornata indietro ed eccomi qui.
“Kitajima, prendi il vassoio! Ti sei incantata di nuovo?”
Tutt’intorno, gente di mezza età vestita tradizionalmente beve o ride, mostrando la bocca sdentata.
Penso che noi giapponesi ci vogliamo male. Eppure, all’Estero dicono che il nostro è un viso che non invecchia.
Vent’anni.
“Tavolo cinque!” sbotta di nuovo il mio capo.
Ed io corro - o mi trascino - carica di vivande.
“Ragazza, c’è un capello nei ramen!” si lamenta uno.
Il cuoco è calvo, quindi è inequivocabilmente mio.
Mi scuso, prendo la scodella e torno in cucina. Esco con un altro piatto fumante, sento le dita scottarsi, depongo, torno indietro.
E’ la mia vita.
Poi mi accorgo che in sala è appena entrata Rei e mi sento più forte. La raggiungo e prendo l’ordine. Non ci salutiamo neppure: basta guardarci per comprenderci.
Lei continua a lavorare nello spettacolo di Ayumi: è troppo brava per esserne esclusa. Nel cast definitivo sono entrati tutti i miei vecchi compagni. Tutti, tranne me.

“Sei una vile, Maya.”
Parole tristi, avvelenate, fragili.
Perché, mentre le pronunciava, Rei piangeva per me.
“Non puoi rinunciare! Perché proprio adesso?”
Perché Hijiri è morto per colpa mia e perché non voglio che Masumi diventi un pezzente a causa mia e del mio amore per lui, ecco perché.

Non dico niente: è piuttosto scontato, infatti e Rei sa tutto molto bene.
“La sensei non ti perdonerà mai.”
E, infatti, da quel giorno nefasto, non l’ho più vista.
Io, come Celestino V, ho fatto “per viltade il gran rifiuto”.


Ma io so, come lo sapeva già Masumi prima di me, che si vive, il più delle volte, sopraffatti dai sensi di colpa. Non si sfugge alle leggi del mondo. Essere, oggi, negli Anni Novanta non ha cambiato la testa degli uomini di un pollice e, davanti a minacce che possono costare la vita, nessuno può titanicamente alzare il capo. A meno di non essere inghiottiti da un vortice inarrestabile. Quel gorgo dal quale solo i geni, con un po’ di fortuna, possono emergere. A me non è toccato in sorte, no.
Il mio genio non si è accompagnato alla buona sorte ed eccomi qui, ventenne senza sorriso, con il mondo che ho disperatamente voluto a girarmi intorno senza più toccarmi, senza più completarmi, senza più abbracciarmi.
Il mio viso è ordinario, le mie mani si coprono di porzioni dure di pelle o desquamano per via dell’acqua. Non mi chiedo più che parte reciterò perché è questa la parte che, in questa vita, debbo tenermi cara.

“Maya, io ho perso Ichiren.”
Le sue parole non erano astiose. Anche la sensei armata di bastone alle prese con una bambola imperfetta pareva avere deposto le armi.
“Il tuo donatore di rose scarlatte, invece, è qui.”
“E’ qui, ma non è qui.” avevo risposto.

Come nelle teorie scientifiche più accreditate, quelle che avevo ritenuto così difficili da accusarle di essere portatrici di noia, nel mio ultimo anno di liceo. Il mio intelletto è troppo limitato per abbracciare la comprensione delle leggi della fisica.
“Siamo qui, in apparenza, io e lei, signora Tsukikage,” avevo ripreso “ma non siamo qui. Siamo su due stringhe parallele.”

“E’ vero, ma riusciamo comunque a comunicare. Perché, Maya?”
La sua domanda era rimasta in sospeso tra noi. La risposta mostrava molteplici risvolti: perché amiamo il teatro, perché, che mi piaccia o no, sono la dèa scarlatta quanto lei, perché abbiamo conosciuto il dolore. Forse, solo perché parliamo la medesima lingua.
Anche la signora in nero depose le armi, quel giorno.
La mia volontà era annientata da un peso più grande di quanto la mia ancor fragile cultura potesse tollerare.


E il mio sembiante, oggi, è questo. Vivo nella mia gabbietta di legno, con l’odore del fritto sotto al naso e le attenzioni morbose di un vecchio che mi paga il dovuto quasi fosse elemosina. E guardo la TV. Ogni programma trash è bene accetto. Ogni gossip sul mondo dorato di cui, per un lasso di tempo quasi infinitesimale, se penso alla lentezza dell’attuale, ho fatto parte.
Una volta, ero anche io sulle riviste o sulle pubblicità. Quanto mi sembra sbagliato! E’ stato come se una penna diversa da quella dell’autrice della mia vita avesse provato a catapultarmi sulle strisce di un altro fumetto. Ero persino diventata gradevole d’aspetto, attirandomi l’attenzione degli idoli del momento, quelli che belli lo erano davvero.
Io ero sbagliata e basta.
Recitavo e basta.
“Vai a servire quel tavolo!”
Il ringhio del padrone non ammette repliche.
Mentre mi porto dove mi domanda, inizio a mettere a fuoco ciò che mi aspetta e capisco che non è ancora finita.
view post Posted: 19/2/2018, 16:32 Destini - Fanfictions concluse
Grazie di leggermi, Icaro.
Non è la prima volta che uso un approccio così. In riferimento a Masumi, ad esempio, è un topos.
Penso da sempre che questo sia qualcosa di più che un manga per ragazzini e che il classico stereotipo dell' "e vissero felici e contenti" non sia corretto. Perché?
Perché Masumi è un adulto e a trent'anni non ci si può comportare come un ventenne. Diversa, invece, e nuova è la Maya che vedi qui: è una ragazza che, col suo carattere (miuchiano), ha subito il suo destino.

Buona lettura!

Capo quarto



I capelli biondi sono leggermente più lunghi rispetto all’ultima volta che ci siamo incrociati. Il viso è ben rasato. L’abito scuro fa risaltare quella carnagione meravigliosa da meticcio che fa girare la testa a tante donne.
Me compresa.
L’impermeabile svolazza, mentre le labbra fanno dondolare sapientemente una sigaretta ancora spenta. Mitzuki è dietro di lui: pare quasi nascosta, come se volesse evitare il mio sguardo.
Lui no.
Lui è sempre lo stesso.
E’ tornato ad essere quello di sempre.
Come se la sua vita, per undici anni, avesse patito le conseguenze di un grave incidente di percorso. E la riabilitazione è stata lunga e difficile.
Ce l’ha fatta a rimettersi in carreggiata, però.
A me non piace essere una ragazza mediocre, ma di fatto lo sono e manco di volontà. Lui non è così. Non lo è mai stato.
“Che ci fai qui, ragazzina?” mi chiede passandomi accanto.
Eppure mi domando, dopo tutto quello che c’è stato tra noi, come possa mantenere una calma così glaciale. Certo, è ritornato in carreggiata, ma darei l’altra mia gamba - quella sana - per capire cosa gli passi per la testa.
“Faccio le consegne.” rispondo seccamente.
Vorrei strascicare meno il piede, ma non posso e lui, Masumi, viene in mio soccorso senza aprir bocca: mi toglie il contenitore che reggo con entrambe le mani e va verso la motoretta, che è ancora appoggiata al muro e si è pericolosamente inclinata.
“Ragazzina, sei la solita stolta.” rincara “Non esistono i medici, nel tuo mondo?”
Il mio mondo.
L’assistenza sanitaria, per quelli come me, è un’utopia e lui lo sa bene.
“Ma io sto benissimo, Hayami-san.”
Lui mi guarda con sufficienza.
“Si vede.” mente “Il tuo aspetto è meraviglioso.”
E’ come quel giorno nella Valle.
Solo che, stavolta, non c’è una compagna di incomparabile bellezza al suo fianco.
Solo io.
Eppure, gli è passato il consueto guizzo di preoccupazione negli occhi: probabilmente, non gli è sfuggito il fatto che strascichi la gamba.
Io lo so.
Percepisco tutto di lui e dei suoi pensieri.
Non ha mai fatto nulla per nascondersi ed era la mia cecità di ragazzina adolescente ad offuscare ogni mio criterio di giudizio.
Per sette anni era stato così, almeno.
“Gli anni passano per tutti.” dico passandogli di fianco.
Ed è per questo che, di là del suo aspetto sempre impeccabile, il viso si è allungato, gli occhi rimpiccioliti. Le tempie si son fatte più alte e qualche pelo sfugge al rasoio elettrico.
Lui, non pago, è dietro di me ed è lì che mi ricordo di non avere il portavivande con me. Lo guardo, chiedendogli implicitamente di rendermelo e lui, dopo aver tirato su la motoretta senza una parola, obbedisce.
Salgo. La marmitta scoppietta, inquinando il perimetro d’intorno.
“Addio.”
Un’altra volta.
Come ogni giorno.
Siamo ineluttabilmente divisi, eppure, per qualche motivo, siamo sempre al punto di partenza. Tutti e due.
Insieme.
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