Murasaki no Bara no Yume  - Glass no Kamen  * Il Grande Sogno di Maya * Anime, Manga, Drama, World e Fanwork

A Scarlet Rose (II Version)

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LauraHeller
view post Posted on 10/6/2010, 16:14 by: LauraHeller
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Figlio.

Ho lasciato Hijiri e la signora Tsukikage da soli perché potessero chiarirsi e raccontarsi le reciproche storie. Devono recuperare trent’anni, condividere ricordi di vita spezzati tragicamente, creare dal nulla affetti familiari neppure sognati.
Ed ora urge che sia io a dire a Maya la verità.
Mi sovviene, non senza angoscia, il pensiero che lei, adesso, si trovi in ospedale, da sola, a fare il test di accertamento della gravidanza.
Sono stato duro e mi sento in colpa.
Dovrei esserle accanto e non lo sono.
Come ammiratore delle rose scarlatte non ho mai mollato la presa un attimo ed ora che sono semplicemente io, Masumi Hayami, suo compagno di vita, la lascio da sola.
Quanto è successo è colpa mia, della cieca passione che mi spinge inesorabilmente verso di lei e non mi fa pensare con lucidità.
Un figlio mio!
Potrei diventare padre.
Mentre guido l’auto, immagino scene di vita del probabile futuro.
Come cambierà la mia vita di manager? Come si regolerà Maya col teatro?
Forse porterà il bambino con sé, gli racconterà storie che parlano del mondo dell’arcobaleno ed egli se ne innamorerà così come ha fatto lei.
Un figlio!
So già che non reggerei la delusione di non averlo.
La paura che fino a qualche minuto fa mi attanagliava è alle spalle, sostituita dal disperato desiderio che quel semplice sospetto di gravidanza si tramuti in realtà.
Arrivo alla clinica universitaria con l’immancabile mazzo di rose. Chiudendo la portiera, mi accorgo di avere parcheggiato in modo pietoso, ma non mi importa.
Scappo in direzione del reparto che mi hanno indicato, ma, prima di entrare, vedo Maya seduta sui gradini, stretta nel cappotto di pelliccia,con le braccia intorno alle ginocchia.
Mi guarda tranquilla e mi sorride: per raggiungerla nel più breve tempo possibile, mi son fatto venire il fiatone.
E riesce persino a buttarla sul ridere, dicendomi che, alla mia età, devo fare attenzione al cuore e alle emozioni forti.
Appoggio il mazzo di rose scarlatte sui gradini e, piegandomi verso di lei, domando:
“Allora?”
A dispetto della corsa, devo essere pallido come un cencio.
Maya mi accarezza la guancia.
Le catturo la mano e la bacio con trasporto senza smettere di guardarla negli occhi.
“Aspetto un bambino.” dice alla fine lei.
Cado in ginocchio, come indotto da una vertigine, e mi accorgo di piangere.
Dèi, vi ringrazio!
Non credevo di vedere mai l’alba di questo giorno!
Mi mostra l’ecografia.
E’ un piccoletto di quattro centimetri, con delle escrescenze appena abbozzate che forse diventeranno le sue braccia.
E poi la colonna vertebrale, il suo piccolo cuore…tutto è perfetto.
Rido come uno sciocco, continuando a piangere, mentre pongo a Maya l’assurda domanda che ogni padre che si rispetti fa ispezionando con cura le foto del figlio in arrivo:
“Pensi che sia maschio?”
Prima che lei possa rispondere, aggiungo:
“Non importa! Ciò che conta è che sia sano…ed erediti il tuo talento.”
Maya mi guarda scioccata.
Dato il modo in cui ci siamo lasciati, non pensava, forse, ad una reazione positiva.
Mi ricordo della signora Tsukikage.
La aiuto ad alzarsi e le chiedo se è disposta ad andare ad incontrare l’anziana attrice.
Mi risponde che è molto stanca e preferisce andare a casa.
Io inizio a preoccuparmi. So già che attendere sette mesi sarà dura.
Diventerò ansioso e insopportabile.
Forse dovrei andare in ufficio solo per mezza giornata così da “controllare” adeguatamente Maya.
Quando glielo propongo, ella impallidisce:
“No,” dice “tu continuerai a lavorare e anche io, se la salute me lo consentirà.”
Ha il tono divertito di chi mi prende in giro.
Non posso credere che sia successo a me.
Un piccolo Hayami!
Mio figlio!
Arriviamo alla villa a sera inoltrata, dopo avere girato senza meta in auto e parlato sino allo sfinimento.
“Questa casa” dico chiudendo l’uscio “tornerà ad essere piena di vita.”
Maya mi abbraccia con trasporto.
“Grazie.” mi sussurra sulle labbra.
La prendo in braccio e la porto su per le scale.
Quando arriviamo in quella che è diventata la nostra camera, le domando se ha voglia di mangiare qualcosa, ma ella nega, accarezzandomi il viso con mano gentile.

La verità viene con le tenebre della notte.

Ci limitiamo a contemplare, distesi sul letto e in silenzio, una misteriosa falce di luna.
Nella nostra mente si affollano pensieri di ogni sorta.
Quelli di lei, credo, riguardano solo il bambino.
I miei, invece, vanno alla signora Tsukikage e alla vera madre di Maya.
Sono lieto del fatto di essere riuscito, solo col mio amore, a guarirla dal complesso di colpa che la legava al ricordo di Haru, ma adesso è giunto il momento di svelarle tutta la verità.
Perché è giusto che ella sappia che il suo stesso sangue l’ha richiamata al tipo di vita per cui è nata e nessun peccato di tracotanza ha accompagnato la sua scelta di lasciare per sempre la donna che l’ha cresciuta.
Questa certezza la libererà del tutto dai sensi di colpa.
Prima di parlarle di Chira, però, decido di darle qualcosa che tengo nascosto tra le mie carte più segrete dal giorno della prima de La dèa scarlatta.
Si potrebbe pensare che io l’abbia acquistato mentre ero al culmine della felicità, quando, appena scoperti i suoi sentimenti, ho giurato a me stesso che le sarei stato accanto per tutta la vita.
Invece, questo oggetto è stato comprato molto tempo prima, in un pomeriggio di ubriachezza disperata, quando mi si spezzarono le reni all’udire che stava col ragazzino dagli occhi chiari, quel Sakurakoji, i cui pugni mi han sempre procurato più un fastidioso solletico che male.
Di certo, il tuo odio, Maya, me ne ha fatto tanto di più.
Mi alzo dal letto e mi dirigo alla piccola cassaforte che raccoglie i miei ricordi più cari.
Dentro un astuccio piccolo di velluto scarlatto è racchiuso un cristallo prezioso quanto il dolore degli anni dell’incomprensione.
E’ trasparente come la mia anima, nuda e vulnerabile solo davanti a te, che la completi, la comprendi e la penetri senza difficoltà.

Tra noi non c’è mai stata menzogna.

Per questo, tornando sul letto, accanto a te, tolgo il prezioso dalla scatola e te lo mostro come se ti aprissi lo sterno e ti palesassi il mio cuore.
Butto l’astuccio scarlatto dentro la fiamma del camino e ti chiedo se, questa notte, vuoi accettare il simbolo del mio vissuto e, con esso, un avvenire insieme a me.
Guardi il semplice anello con aria sorpresa.
Non pensavi che potessi arrivare a comprare un oggetto simile in un momento tanto disperato per entrambi.
E, invece, è andata proprio così.
E questo può significare solo una cosa: che, qualunque situazione io abbia attraversato, non ho mai perso la certezza di ritrovarti, prima o poi.
E di riconquistarti.
“Detto questo,” aggiungo con tono solenne, ma un po’ vibrato a causa dell’emozione “ti chiedo di concedermi l’onore di sposarmi”
“E’ incredibile” rispondi “che tu possa domandarmelo ancora…”
Sorrido un poco, pensando ai tentativi - tutti falliti - di rifarci una vita lontano l‘uno dall‘altra: tu con Sakurakoji; io con Shiori e, poi, Liz.
E’ stata una inutile perdita di tempo o forse no, considerato che, comunque, siamo ancora insieme e più convinti e uniti che mai in virtù del figlio in arrivo.
Mi porgi la piccola mano ed io, tremante, ti infilo il solitario all’anulare della mano sinistra.
E’ un oggetto discreto, che nulla ha a che fare col pacchiano zaffiro ostentato da Shiori Takamiya ai tempi del nostro fidanzamento.
Forse, come Masumi Hayami, avrei potuto spendere una cifra molto più alta, ma non sarebbe stato lo specchio della mia anima.
Tutto ciò che è vero e prezioso è racchiuso qui, in una piccola pietra trasparente e te la dono con gioia, ché nulla di superfluo è in essa.
Mi commuovo un poco e penso che sto diventando vecchio.
Stavolta sei tu a prendermi la mano e a portarla sulle tue labbra morbide.
Mi ringrazi per averti aspettata, nonostante tutto e nonostante Sakurakoji.
Sai di essere stata tu a spingermi tra le braccia invitanti di Liz e mi domandi perdono per avermi recato offesa, facendomi credere di esserti concessa a Yuu.

Dunque non era vero!

Mi hai “consegnato” ad un’altra donna mentendo, col solo proposito di ferirmi nel profondo.
Tu, allora, mi dici, che, anche durante la nostra separazione, non avevi dubbi sul fatto che sarei tornato da te.
E che vedi diversamente le cose riguardo a Liz.
Tiro un sospiro di sollievo, sebbene sia io, stavolta, a pensare di averti “tradita”, seppur senza volerlo.
Il mio turbamento dura appena un attimo, ché mi ricatturi tra le tue braccia.

E’ l’alba.
Ed io non sono riuscito a dirti alcunché.
Adesso sto pensando ad Eysuke, al suo amore paterno nei riguardi di Chira. Comprendo il suo desiderio di paternità, che, con me, purtroppo, non è venuto allo scoperto.
L’amore non corrisposto per la signora Tsukikage e la morte di Chira sono stati per lui un duro colpo.
Non posso dimenticare la sua freddezza nei confronti della mamma, e, tuttavia, comincio a nutrire una sorta di compassione nei suoi riguardi.
E’ incredibile come un bambino di pochi centimetri stia cambiando la mia vita e in modo tanto radicale!
Maya si sveglia e cerca la mia mano.
Con gli occhi mi chiede a cosa penso: deve aver capito che non ho riposato per nulla.
“Maya,” dico “devo parlarti di una cosa che ti riguarda.”
Mi chiede se preferisco farlo davanti a una tazza di caffè, ma io nego, invitandola a starmi a sentire, ché quel che ho da dire non è facile da comprendere.
Sospira un poco, pallida in volto.
“Vada per il caffè…” affermo allora io, preoccupato.
Scendiamo lentamente al piano di sotto.
La signora della cucina, abituata ai miei orari d’ufficio, ha servito in tavola cornetti e croissant; i giornali di economia sono sul tavolino accanto alla mia poltrona.
Ci sediamo vicini, io e Maya.
E penso che, al tempo in cui dividevo questa grande casa con Eysuke, sedevamo sempre a capotavola, uno di fronte all’altro, come se stessimo muovendo le pedine di un estenuante gioco di ruolo.
“Si tratta di tua madre.” dico all’improvviso, sorbendo una tazza di tea.
Mi copro gli occhi con la mano.
“Sarò franco con te:” continuo “Haru Kitajima non è la tua vera madre.”
Mi guarda come se fossi uscito fuori di senno.
Il tremore manifesto attraverso le mani la porta a rovesciare la tazza col caffè.
“Che dici, Masumi?” domanda col respiro affannato.
Impallidisco.
Penso che, nelle sue condizioni, una notizia del genere equivalga a una notte di bagordi.
Se non peggio.
“Mi spiace di esser stato così diretto, ma non potevo più nascondere la verità.”
Le spiego che sono a conoscenza dei fatti già da qualche settimana e che la conferma è arrivata solo ieri.
“Come è possibile!?” mi chiede prendendomi per mano.
La stringo forte.
Poi ha una nausea improvvisa e fugge in direzione del bagno.
La seguo.
Non è che la prima di una lunga serie, penso, ma mi preoccupo ugualmente.
Forse non è stato un bene che io le confessassi la verità in un momento tanto delicato.

Fragilità.

Le racconto la storia dall’inizio, partendo dal fatto che ad indurmi a sospettare sia stato proprio il suo “casuale” incontro con la Tsukikage, una sorta di folgorazione artistica.
Per non parlare di mio padre, che, senza sapere chi fosse e nonostante il proposito di distruggerla, nutriva per lei una simpatia istintiva.
Parlando del talento di Maya, Eysuke sembrava commuoversi, come avesse dei deja-vu.
Non poteva sapere, però, che quella ragazzina fosse la figlia di Chira.
Quando il signor Hijiri tentò il suicidio con la famiglia, fu solo la figlia di Ichiren Oozachi a perdere la vita.
A quel punto, mio padre, che aveva a cuore il benessere di entrambi i bambini, lo convocò per chiedergli come aveva intenzione di provvedervi. Tashiro Hijiri, allora, decise di dare una sistemazione adeguata almeno alla piccola, una famiglia solida all’interno della quale potesse crescere serenamente.
Non prese in considerazione neppure per un attimo la probabilità di far allevare Maya alla vecchia attrice.
Eysuke giurò di non interferire in nessun modo nella vita della bambina: non volle sapere neppure chi l’avesse presa in adozione.
L’incendio all’archivio anagrafico distrusse per sempre le prove di una paternità che, se non fosse stato per la mia ostinazione, non sarebbe più venuta allo scoperto.
Vedo Maya commuoversi un poco e provo a stringerla a me.
“Non voglio sapere nulla di più…” mi dice allontanandomi.
“Perché fai così?” le chiedo turbato.
“Io sono la figlia di Tochiro e Haru Kitajima, non dimenticarlo.”
Mi guarda come se volesse sfidarmi.
“Perché mi confessi queste cose?! Quello che tu dici essere il mio vero padre ha deciso di farmi adottare e si è tenuto vicino mio fratello, condannandolo al suo stesso anonimato! E’ un mostro! Ha ucciso sua moglie, ha tentato di uccidere i suoi figli, ha impedito alla signora Tsukikage di vedere i suoi nipoti!”
Si divincola ancora di più, ma io ho il sopravvento e, finalmente, i suoi singhiozzi si placano tra le mie braccia.
So che non è semplice accettare una realtà così pesante.
A dispetto dei complessi che ha sviluppato crescendo, ha avuto la fortuna di andare a far parte di una famiglia sana, con due genitori che la desideravano davvero e si amavano.
In questo senso, è stata più fortunata di me.
Penso che scoperchiare quel baule, forse, sia stato un errore.
Davvero, pensavo fosse nel tuo interesse farti capire che sei nata per il teatro e nel teatro e, quindi, razionalizzare il perché della tua scelta di vita, ma è stato inutile: ha creato semplicemente dolore.
“Ti chiedo scusa.” dico fissando la pioggia battere sui vetri.
Cerchi la mia mano.
Suonano alla porta.
La signora Dojima introduce Chigusa Tsukikage e Karato Hijiri.
“E’ davvero un giorno meteorologicamente disgraziato per uscire di casa, ma non riuscivo più ad aspettare.” afferma la Tsukikage entrando nel salone.
Si avvicina a Maya reggendosi al bastone.
Sembra che la sua aria perennemente sofferente sia svanita come per magia.
“E così tu sei la mia adorata nipote.” dice squadrandola da capo a piedi.
Non ha perso la sua ironia.
Non dimentica che è Maya la persona con cui sta interagendo: una ragazza che ha bisogno di misure “drastiche” per dare il meglio di sé, una ragazza che non sarà trattata diversamente solo perché è sangue del suo sangue.
Maya sorride, ringraziandola di non essere cambiata.
“Sono lieta” aggiunge la Tsukikage “di aver ritrovato i miei nipoti, ma nulla sarà mutato.”
“Maya…” dice Hijiri avvicinandosi.
Stavolta, l’affetto di due fratelli che si ritrovano è più potente della formalità: si abbracciano stretti ed io constato come siano somiglianti l’uno all’altra.
“Visto che siamo tutti qui,” annuncio schiarendomi la voce “penso sia il caso che dica a tutti quello che sta succedendo.”
La signora Tsukikage si gira verso di me sgranando gli occhi:
“Ancora?!” domanda spaventata.
Rosso in viso e un po’ affaticato nel parlare, racconto di aver chiesto la mano di Maya e che siamo in attesa di un figlio.
L’uditorio resta senza parole.
“Gli dèi si beffano davvero degli uomini!” è il commento della vecchia attrice “Ed è destino che le mie creature, mia figlia e ora mia nipote, vadano in spose a uomini discutibili, che non suscitano simpatia – come si dice? – a pelle.”

Non credo che Chigusa Tsukikage non sapesse della mia relazione con Maya, ma ha sempre finto di non vedere, ritenendo forse che ogni tipo di esperienza debba entrare nell’armadio di un attore.
Non è bello che mi consideri ancora un uomo senza scrupoli, ma non mi importa.
E’ con Maya che devo vivere.
La mia famiglia.
Noi due e il nostro bambino.


Ritorno alla Valle dei Susini.

Dopo la formale registrazione del nostro matrimonio, Maya mi ha chiesto di poter fare ritorno a Nara, paese natale di suo nonno, Ichiren Oozachi.
Desidera che nostro figlio nasca laggiù, circondato dalla natura incontaminata, fra gente che, un giorno, riconoscerà come “la sua gente” e, soprattutto, lontano da intrighi commerciali e luci al neon.
Ho finto di lagnarmene, poiché, avendo una società da dirigere, io faccio comunque parte del “mercato” che ella odia tanto.
Mi spiace non poter esserle accanto ogni giorno.
Mi spiace non averla fra i piedi, quando torno a casa.
Ma lo stress di questi giorni è stato tale che il medico le ha consigliato di tralasciare il lavoro e pensare solo al piccolo in arrivo.
Mi inquieta che ella vada da sola, ma non posso oppormi.
Genzo deve occuparsi della signora in nero, la quale, a sua volta, continua a tenere le sue lezioni all’Actor’s Studio.
Hijiri, per quanto sia un uomo-ombra, è divenuto praticamente il mio braccio destro e mi è necessario a Tokyo o dovunque abbia necessità di inviarlo.
Mi tengo in contatto costante con Maya grazie alla rete, ma la preoccupazione è grande.

Così, oggi, ho deciso di andare da lei.
Non la vedo da settimane e, visto che è entrata felicemente nel settimo mese, ho ritenuto opportuno farle una sorpresa.
E’ una giornata calda.
Appena sceso dallo Shinkansen, mi sono liberato della giacca, tirando su le maniche della camicia.
Una piacevole brezza estiva si insinua fra i miei capelli, mentre, con l’immancabile mazzo di rose scarlatte in mano, percorro la strada che porta fino al tempio abbandonato, il posto nel quale Maya vive in attesa di nostro figlio.
Non ero mai stato nella Valle dei Susini in questa stagione.
La natura è davvero brillante.
Il cielo blu ha un indice di polarizzazione notevole ed io pregusto già le serate che passerò con lei a rimirare la “vera volta celeste”.
La trovo di spalle, china su un vaso di fiori.
Indossa un vestito un po’ largo, che non le segna i fianchi, ma constato con stupore che non è ingrassata granché; i capelli, invece, li tiene raccolti in una semplice coda.
Prima che ella possa sollevare il vaso, paleso la mia presenza.
La vedo trasalire, ma non spaventarsi.
Probabilmente il suo cuore già le aveva suggerito che sarei arrivato.
E’ davvero raggiante, col viso abbronzato e gli occhi scintillanti.
Alzo una mano verso di lei, incerto se abbracciarla, ma lei mi previene.
Stringendola a me, torno a chiedermi come ho potuto resistere lontano da lei tanto a lungo.
Sebbene “l‘abbia vista” attraverso uno schermo, non si può certo dire sia stata la stessa cosa.
“Non guardarmi così.” mi dice lei arrossendo “Sono più simile a una balena che a una donna.”
Io la attiro ancora di più a me per baciarla, mentre le sussurro in un orecchio di non aver mai veduto creatura più incantevole in tutta la mia vita.
Sono inebriato dalla sua trasformazione.
La sua pelle, al tatto, mi da una strana sensazione.
“Guarda qui.” dico quella sera mentre, sotto il futon, le carezzo il pancione “Non senti come è strano? La tua pelle non è morbida, ha un che di ruvido. Mi dà i brividi.”
Tutto è una sorpresa.
Cerco di dare spiegazioni “scientifiche” ai cambiamenti di un corpo che mi pare così bello da essere – fosse possibile – ancora più desiderabile di quanto non lo sia in “condizioni normali”.
So che sto celando malamente il mio desiderio e, vergognandomi di apparire ridicolo, lo dico a Maya senza mezzi termini.
Con tanto di rassegnato sospiro.
Poggio piano la mia testa appena sotto il pancione, proprio nella zona che mi è proibita e sento che, "di sopra", una piccola rivoluzione è in corso.
“E’ un terremoto?” chiedo ridendo.
Il bambino è in fase di protesta o, forse, sta cercando di stiracchiarsi un poco.
Dal pancione si levano escrescenze sospette - gomiti o ginocchia - che, evidentemente, trovano stretto quel pur accogliente rifugio.
Piazzo un bacio appena sotto l’ombelico e mi sento sferrare un calcio sul naso.
Maya dice che, con questo giochetto, l’anarchico la sveglia in qualsiasi ora della notte.
Promette bene, penso tra me e me.
Mi commuovo come solo un ragazzo di trentadue anni che nulla desidera più dalla vita può fare.
Poi torno ad essere distratto da lei, la mia anima gemella.
Le confesso per l’ennesima volta che l’amo e desidero averla al mio fianco per sempre: ma, in quel momento, vedo il volto di Maya cambiare d’improvviso aspetto.
Non mi ci vuole molto per capire che non è piacere.
Lamenta dolori lancinanti; il futon si è impregnato di liquido grigiastro.
Ho il panico, sto per svenire.
Devo calmarmi, chiamare i soccorsi.
Ma non sarà tardi?
Dov’è il mio telefono?
Mi alzo per andare alla sua ricerca, ma la piccola mano di Maya mi blocca.
Mi implora di non lasciarla, dice che sta per nascere.
Ma non è troppo presto?
La natura esige di fare il suo corso e non chiede il permesso, penso mentre cerco di aiutare come posso mia moglie.
“Non sono un medico, cazzo!” urlo a squarciagola. E mentre lo dico, sento Maya urlare con me.
Sono le contrazioni o cosa?
Le dico di assecondare i ritmi del suo corpo e di spingere con tutta la forza che ha.
Mi sento angosciato, sempre incerto se svenire o sbattere la testa al muro.
Mi accorgo di una piccola testa che fuoriesce.
“E’ senza capelli…” dico sentendomi ridicolo.
Urlo a Maya di metterci più forza.
Finalmente, dopo svariati minuti accompagnati da urla strazianti, l’anarchico fa il suo ingresso nel mondo per unire la sua voce tonante al coro dell’umanità.
Cado all’indietro, sedendomi.
Sono sudato come fossi rimasto in sauna per ore.
Le mie mani sono lorde di sangue.
Mentre Maya prova a porgermi il bambino, prima di avere il tempo di chiedere se è maschio o femmina, alla vista del cordone ombelicale, perdo i sensi.


Verso la storia.


E’ passato un po’ di tempo da quando il mio piccolo anarchico è venuto al mondo.
E’ un maschio – doveva esserlo per forza - e gli abbiamo imposto un nome corto, forse bizzarro, ma che rimanda, inevitabilmente, alle origini materne.
Ren Hayami, adesso, ha cinque mesi e vive ancora nel tempio della Valle dei Susini.
E’ un bambino sveglio: a giudicare da come gattona, credo camminerà presto. Ha i capelli biondi e, a parte gli occhi azzurri dal taglio a mandorla, sembra avere, al momento, i miei tratti occidentali.
Per il resto, è molto simile a Maya: piccoletto, chiacchierone, sbadato come non mai.
L’unico modo per farlo stare in silenzio è piazzarlo davanti a una TV.
Ma, l’altro giorno, l’abbiamo sorpreso a gorgheggiare davanti allo schermo spento.
Sembrava davvero stesse recitando!
Come molti padri manager, riesco a vederlo solo il fine settimana.
Mi sto abituando piano, anche perché non credo che Maya vorrà fare ritorno a Tokyo, se non quando deciderà di rimettersi al lavoro.
Dice che vuole aprire una sorta di teatro a soggetto per rappresentarvi drammi in costume di ispirazione giapponese. Così ha contattato dei famosi drammaturghi che si stanno occupando della parte redazionale, mentre a me spetta quella “pratica”.
Sono molto felice.
E non pensavo certo, fino all’anno scorso, che l’epilogo di questa storia sarebbe stato così sereno.
Mi sembra di avere fatto un lungo sogno, un sogno che mi è costato sudore e lacrime, ma che, alla fine, mi ha soddisfatto, rendendomi un uomo appagato. Ho una famiglia mia.
Maya ha realizzato se stessa.

Mi alzo dal letto constatando che, al mio fianco, non c’è nessuno.
Adesso mi sembra quasi di avere vissuto una vita intera nell’arco di una notte.
Il lenzuolo è freddo ed io, a torso nudo, cerco qualcosa che mi copra.
Fuori c’è il sole.
E’ il due di gennaio.
Mi preparo per andare al lavoro.
E andare incontro al mio destino.



FINE PRIMA PARTE

Ringrazio, a margine, Leyla per il suo gentile commento.
Mi onorate, tutte quante.

Domani, inizierò un altro punto di vista.

 
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