Murasaki no Bara no Yume  - Glass no Kamen  * Il Grande Sogno di Maya * Anime, Manga, Drama, World e Fanwork

A Scarlet Rose (II Version)

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LauraHeller
view post Posted on 8/1/2014, 15:33 by: LauraHeller
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Capitolo settimo



Eysuke si mosse sulla sedia a rotelle visibilmente preoccupato.
Ancora una volta, aveva fatto in modo che l’incontro con la giovane attrice avvenisse in maniera casuale per non metterla in allarme.
Quasi se ne pentì.
Non solo Maya era mutata d’aspetto all’improvviso: persino il tono della sua voce, la saggezza amara che traspariva dagli occhi languenti la rendevano più brillante del solito.
Il Presidente emerito della Daito pensò che, finalmente, il temuto salto di qualità aveva avuto luogo.
Da sempre estimatore del suo talento, non aveva idea che esso potesse scoppiare prepotentemente in un lasso di tempo così breve.
Inoltre, Maya Kitajima non soltanto stava per ereditare lo spirito di Chigusa Tsukikage, ma, per certi versi, pareva incarnarlo già.
“Non credevo…” fece tra sé “potesse accadere, ma così è stato. Ora, sei del tutto simile a lei e questo mi fa guardare con occhi diversi tutto il contesto. Se, prima, temevo il futuro, oggi mi terrorizza rendermi conto che esso è già presente. E una banale propensione può essersi mutata in un fuoco inestinguibile.”
“Signore…?” chiese Maya del tutto ignara “Sono contenta di incontrarla. Ho qui con me dei biglietti per la rappresentazione che avrà luogo…”
“Le stelle lontane, per quanto fioche, non sono meno lucenti delle vicine. Basta avvicinarsi ad esse per restarne parimenti abbagliati.” Disse Eysuke pensando a Masumi.
“Non capisco.”
“L’amore genera l’odio e l’odio genera amore.” Spiegò l’anziano “Qualche filosofo di strada dice che, in fondo, sono la stessa cosa ed io <anche> ne sono persuaso. Maya-chan, il giovane Hayami le ha mai raccontato di suo padre?”
Ella arrossì:
“Non ne so molto. Ma, di certo, non dev’essere stato un uomo gentile neppure da giovane. Ha distrutto la carriera della mia adorata insegnante; ha provato a sottrarle i diritti di rappresentazione de La Dèa Scarlatta. Quando non ne ha più avuto la forza, ha istruito suo figlio, rovinando la di lui esistenza.”
Eysuke rise fragorosamente.
“Il generale millepiedi è un’anima dannata. Dall’amore atavico è passato all’odio ancestrale. Non potendo avere il susino millenario, ne ha divorato le radici sino a farlo avvizzire…”
“Conosco questa storia.” Confessò Maya inquieta “Me ne ha parlato proprio il signor Hayami. Ma credevo si trattasse di una metafora, non di una leggenda vera.”
“Eppure, come in tutte le storie, anche le più improbabili recano un fondo di verità.” Disse quietamente l’anziano, un’inflessione perfida nella voce “Lei è davvero una ragazza sincera e piena di buone qualità: il suo talento è così evidente da impressionare. Ma vive così presa dal teatro e dall’amore per i personaggi che interpreta da disinteressarsi del tutto al mondo che la circonda. Solo un vero amante dell’arte può ricambiarla pienamente, ché un uomo <normale>, al suo fianco, sarebbe condannato all’infelicità.”
“Che intende…” balbettò Maya “quando dice che mi disinteresso del mondo…”
Eysuke sospirò:
“Da quanto tempo ci conosciamo, signorina?”
L’attrice fece mente locale e calcolò circa otto mesi dall’ultima rappresentazione di Lande Dimenticate.
“E,” proseguì il vecchio “pur vedendomi salire su auto di gran lusso, pur accompagnandola in locali d’alto livello, non le è mai venuto in mente di chiedermi chi fossi e…quale lavoro svolgessi…?”
“Ho solo pensato che non fosse un indigente. Che frequentasse i teatri e ne conoscesse i grandi interpreti del passato” Rispose Maya con semplicità “Cos’altro?...”
Hayami strinse le labbra:
“Lei è una ragazza sincera. Non conosce menzogna. Ciò rende le cose più gravose di quanto non pensassi.”
Alla giovane si strinse il cuore.
“Neppure che io conoscessi l’interpretazione del fuoco di Chigusa Tsukikage le suggerisce qualcosa?”
“Non capisco dove intenda arrivare.” Disse la sua interlocutrice, il volto imperscrutabile come il ghiaccio.
Un varco si era finalmente aperto: Maya Kitajima iniziava a intuire chi avesse davanti.
“Signorina, vorrei che sapesse che, in qualche modo, sono stato molto colpito dalla sua schiettezza. E, checché si racconti di me, so apprezzare certe doti. Tuttavia, ciò che conta, ad oggi, è concludere un buon affare. Cercare in ogni modo di preservare un’attività costruita lungo tutta una vita. Nel mercato del mondo dello spettacolo, non basta rappresentare una piccola ditta: molti anni fa, cercai di far capire questo concetto ad Oozachi, ma lui si infuriò, dicendomi che non era giusto <mercificare> il suo capolavoro. Non è che io volessi <mercificarlo>: ritenevo, come lo ritengo oggi, necessario <sfruttare> il talento di Chigusa per assicurare un futuro a lei, al Maestro e a tutte le famiglie che ruotano intorno alla vecchia e nuova Daito.”
Una lacrima solitaria solcò il viso di Maya.
“Lei ha condizionato la vita di molte persone. Ha cercato di rendere suo figlio la sua esatta copia.” Mormorò sconcertata “Per non parlare della sensei Tsukikage, costretta a chiudere la propria scuola di teatro, a cercare finanziamenti per la propria attività quasi fosse una mendicante…”
“Non mi pento di niente.” Disse perentorio Eysuke “Il lato umano degli affari è che essi sostentano migliaia di famiglie. Se, domani, il gruppo Takamiya fallisse, ha idea di quanta gente finirebbe sulla strada?”
Maya strinse gli occhi, provando in tutti i modi a non piangere, ma era impresa ardua: la commozione si fondeva, ora, con la rabbia.
Sentiva come profondamente ingiusto e sbagliato ciò che le sue orecchie udivano:
“E, così, in nome degli affari, ha dato un erede a Takamiya perché la Daito Art Productions fosse protetta e s’ingrandisse.”
“Masumi non è stato messo con le spalle al muro: Shiori è una donna piacente e colta. Inoltre, a differenza di molte ragazze, non pretende tante attenzioni. Era così anche la madre di Masumi, sai? Sapeva stare al suo posto. Del resto, ha accettato di stare con me per amore di suo figlio…”
“Ma a che prezzo?” sbottò finalmente Maya “Che cosa c’è di sbagliato nel seguire il cuore?!”
“Prova per un istante a vederlo rifiutato, quel <cuore>.” L’interruppe Eysuke inviperito “Prova a metterti nei panni di Shiori, così innamorata e fragile! Tu hai il teatro e una carriera radiosa davanti. Se ti mettessi tra la signorina Takamiya e mio figlio, lei ne morirebbe perché non ha altri che lui.”


“Che cosa ti ha detto il generale?”
Akoya ed Isshin camminavano lungo il fiume, immersi in un tramonto che pareva infinito mano nella mano.
Tutt’intorno, come sempre, era armonia, ma nel cuore di entrambi un che di malinconico campeggiava, ché il destino dello scultore era tutt’altro che deciso: la guarnigione, ancora al Villaggio, sarebbe potuta rientrare in un momento qualsiasi, portandosi dietro il giovane Isshin.
“Non abbiamo conversato un granché.” Rispose quest’ultimo “Mi ha detto come mi chiamo, che cosa facevo prima di perdere la memoria. Pare non ci siano dubbi: sono colui che cercano. Uno…scultore buddhista miscredente che si è rifiutato di scolpire per una comunità shintoista.”
Akoya strinse le labbra:
“E te ne ha dato spiegazione?”
“Non ci vuole molto per arrivarci e credo ci sia arrivata anche tu, amor mio.” Replicò Isshin con semplicità “In fondo, di che cosa mai si è discusso, tra noi, se non del mio strano rapporto con…la fede e la religione in genere? Quando ci siamo conosciuti, mi hai rimbrottato più volte. Sono un empio.”
“Non la penso così da molto tempo, ormai.” Mugugnò la ragazza “Tu sei la persona più onesta che conosca, la più sincera. Sono virtù care agli dèi.”
“Sai anche questo?” si stupì Isshin “Per favore, domanda loro cosa pensano di me, allora.”
Akoya scosse la testa:
“Pensano ciò che penso io, ovvero tutto il bene possibile.”
Lo scultore le prese entrambe le mani, portandole alla bocca.
“Non devi confortarmi per forza. Qui non si parla di piante medicinali o di animali da salvare. Si discute di creature che non hanno nulla a che vedere con questo mondo corrotto e pieno di pregiudizi…Tua nonna mi odia…Tutti mi odiano. Solo tu hai iniziato a volermi bene…”
“Lei non è mia nonna!” replicò pronta la giovane “Non so di chi sia figlia. Nessuno lo sa. Dicono tutti che sono mandata dalla dèa perché so fare cose al limite del miracoloso.”
Isshin la guardò con affetto:
“Non mi stupirebbe se fossi la dèa in persona: la tua bellezza, la tua saggezza sono talmente evidenti da balzare all’occhio al primo sguardo. Una tua parola genera armonia, pacata serenità. Questo, per lo meno, è accaduto a me: assieme al mio corpo, pian piano, hai guarito anche il mio spirito.”
Akoya lo abbracciò con foga.
“Sai,” mormorò lo scultore trattenendo a stento l’impeto di baciarla “la prima volta che ci siamo incontrati, ho avuto la sensazione di trovarmi davanti ad uno di quegli splendidi alberi di susino che circondano il tempio. Indossavi un chimono scarlatto, i tuoi capelli avevano lo stesso riflesso e, quando mi sorreggevi col tuo braccio, mi ispiravi solidità.”
“Davvero?” chiese la ragazza con voce accorata “Sì, amo profondamente questi alberi. Il loro profumo mi inebria, il loro colore genera in me armonia, la loro possanza mi protegge. Da tutte queste cose io mi sento…intessuta. Vieni, amor mio, c’è una cosa che voglio farti vedere.”
Strinse la sua mano e, con una lieve spinta, lo invitò a seguirla.
Nel folto degli alberi di susino che popolavano il fondovalle, i due amanti, come sospinti da una forza sconosciuta, correvano come se abitassero quei luoghi da lungo tempo.
La neve sotto i piedi, un ghiaccio scarlatto e bianco insieme, strideva sotto le suole delle scarpe di juta.
Finalmente, i passi di Akoya si fermarono.
Isshin rimase senza fiato per un istante. Dopo aver lasciato la sua mano, la giovane si era approssimata ad un enorme e maestoso albero di susino.
“Ecco Mot, il susino millenario.” Disse accarezzandone il fusto rugoso “Esso è lo spirito più antico di questo Paese. Era qui ai tempi delle antiche armonie.”
“Mot? Che storia è mai questa?” chiese lo scultore interessatissimo “Non ne ho mai saputo nulla.”
Qualsiasi cosa uscisse dalla bocca della sua compagna, per quanto finissero per scherzarci su, rivestiva una importanza straordinaria: costituiva una finestra sull’universo intero.
“Gli uomini raccontano poco questa leggenda e, in un certo senso, hai ragione quando affermi che essi rammentano solo ciò che più gli fa comodo.”
Di nuovo, prese ad accarezzare l’albero:
“Gli alberi celano la vita, raccontano la storia di centinaia di uomini che sono stati testimoni di tempi più fausti. Quando gli dèi vivevano sulla terra e le creature erano loro grate per gli infiniti doni elargiti tutto era armonia. Non esistevano discordie.”
“Questo te lo ha raccontato Mot?” domandò di nuovo lo scultore, profondamente colpito dalla sincera convinzione di Akoya.
“Ascoltare una storia, credere in essa è come riviverla. Il ciclo di vite si ripete e l’universo è un perenne eterno ritorno. Gli dèi non sono mai <spariti> dal mondo. Non del tutto, almeno: hanno lasciato i loro guardiani. E questi, qualunque fattezza abbiano, non cessano mai di interrogare gli spiriti…”
Lo abbracciò con calore:
“Mot e io siamo la stessa cosa. I tuoi occhi ti hanno guidato bene: ciò che ti ha colpito di me è corretto, adorato Isshin.”
“La…stessa cosa?” ripeté scioccato quest’ultimo.
Udì un sospiro profondo:
“Siamo composti di cellule, di atomi. Ogni cosa è intessuta nella materia dell’universo, dall’uomo al più infimo granello di sabbia.”
“Che sollievo…” sorrise lo scultore “Temevo parlassi seriamente.”
“Ma io parlo <seriamente>.”

CONTINUA!...

 
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