Grazie, mia cara!
Ecco il doppio epilogo!
***
“MARC!!!” urlo ridestandomi.
“Siamo arrivati.” dice Hamill scendendo.
Fino a due giorni fa questo posto mi sembrava meraviglioso, magico, pieno di speranza.
Ah, mi duole la testa.
Osservo con nostalgia la piramide maggiore, quella di Cheope e poi la cuspide di quella di Chefren, ancora miracolosamente coperta di marmo pregiato.
Il Parco Archeologico è illuminato da lampade a risparmio energetico così fioche da sembrare meno luminose delle stesse stelle del cielo.
Cammino un po’ incerta per le rovine, pensando a Marc e a Masumi, che si saranno precipitati in strada per venire sin qui.
Quando mi attardo per via dell’ansia e della stanchezza, Peter mi spinge usando la pistola.
Il freddo del metallo sulla schiena mi pare di non avvertirlo neanche.
Fino a che non vedo lei.
Quando vedo lei, i miei occhi si riempiono di lacrime.
“Che cosa le avete fatto?” dico con un fil di voce.
Maya ha gambe e mani legate dietro la schiena con una stessa corda. E’ bendata, ha un pezzo di scotch sulla bocca e i suoi capelli sono rasati o, forse, bruciati.
Shiori Takamiya, in vesti di improbabile muezzin, è accanto a lei con un accendino in mano.
“Carina, vero?” domanda sarcastica “Per completare l’opera aspetto che arrivi il mio futuro marito...”
“Tu sei pazza…” mormoro “Non sei neppure un demonio, sei solo una pazza!!!”
Mi avvento contro di lei, ma Peter, prontamente, mi ferma.
“La scena è completa.” dice indicando la figura imponente di Masumi che avanza per il corridoio sterrato.
Ha il cipiglio freddo e seccato dei tempi peggiori.
Marc non è con lui!
Mi lancia uno sguardo fugace, poi porge ad Hamill un fax.
“La signora Tsukikage ha disposto a che i diritti di rappresentazione de La dèa scarlatta vengano intestati congiuntamente a te e a Shiori.” dice col tono sordo “Adesso, non ti resta che lasciare andare Maya.”
Peter afferra il foglio, lasciando che Masumi si avvicini a sua moglie: le toglie delicatamente la benda e il cerotto, scioglie con difficoltà i nodi possenti che le legavano gli arti - manco avesse una stazza da lottatore di sumo! - le adagia sulle spalle il suo giubbetto.
Mentre Hamill sta per dire qualcosa, Marc, con un guizzo felino, blocca Shiori per i polsi.
“Stavolta le regole le dettiamo noi!” urla inferocito.
Peter ride di gusto.
“Puoi anche tenertela!” dice “Ho tutto quello che mi serve!”
E' pazzo quanto e più di Shiori, ora non ho dubbi.
Come può pensare anche solo per un istante di farla franca? A meno che non ci uccida tutti, trascorrerà il resto dei suoi giorni in galera.
Peter mi prende per mano e mi trascina su per la piramide.
“La dèa scarlatta è mia!!!” urla in preda ad un delirio di onnipotenza senza precedenti.
Poi si ferma di scatto sul secondo gradone.
“Bel giocattolino, vero?” chiede a Marc.
Mi accarezza le spalle con la canna della pistola.
Raggiunge la mia bocca socchiusa: sento il sapore dolciastro del metallo sulle labbra.
Sigillo gli occhi.
E allora, che, tenendomi ferma, si accorge che porto un anello.
Un anello che non è il suo.
Sembra impazzire ancora di più, mentre armeggia con la pistola in mano nel tentativo di sfilarmelo.
“Toglitelo!” urla isterico.
E’ talmente violento che temo possa strapparmi l’anulare.
Sento l’osso spezzarsi e la pelle lacerarsi quando, con le unghie, ha la meglio sul monile e sulle mie inutili resistenze.
L’anello cade in terra, emettendo suoni cristallini.
Marc lascia andare Shiori con un violento strattone e corre verso di noi, incapace di assistere ancora a quello scempio.
“Marc, che cosa fai? penso assurdamente “Non si può fare free climbing a Giza! Rajid ti rimprovererebbe...”
La lucidità mi abbandona: forse sto per morire, è questo il motivo.
Cerco con lo sguardo Maya: Masumi se la stringe al petto, impotente, mentre Shiori, con gli occhi sbarrati, è riversa per terra.
“Fai ancora un passo e l’ammazzo...” sibila Hamill.
“Non farai niente del genere!” gli dice Marc “L’hai detto tu…senza Ayumi dei diritti di rappresentazione non te ne fai nulla.”
Il fotografo sogghigna:
“Hai ragione, quello di troppo sei tu!”
Preme il grilletto.
Il rumore dello sparo echeggia fra i monumenti millenari, mentre il corpo di Marc precipita innaturale giù per i gradoni.
Poi si ode un’altra detonazione.
Il sangue mi schizza sul viso, mentre sento la presa di Hamill venir meno.
Mi giro verso di lui e constato con raccapriccio che ha un buco in fronte.
I suoi occhi aperti, più grigi che mai, sembra si rifiutino di accettare la fine inattesa.
Mi precipito dabbasso per soccorrere Marc.
Masumi col braccio ancora teso, brandisce la pistola.
“E’ tutto scuro.”
“Dove sei, Marc?”
“Non avere paura, quando la vita ricomincia è sempre buio.”Il dolore pungente all’anulare sinistro mi risveglia. Ho una vistosa fasciatura e un ferro che pare ingabbiarlo.
Mi alzo dal letto piano, cercando di dominare il profondo senso di vertigine che mi attanaglia.
In corridoio, scorgo Masumi che dorme stancamente su una seggiola.
Mi avvicino a lui per ridestarlo, mentre sento le labbra tremare.
“Dove sono?” domando debolmente.
Non avendo risposta immediata, chiedo più forte: “Dove sono Maya…e Marc?”
Sbatto con violenza i pugni sulle sue spalle, quando incontro quei suoi occhi azzurri come il cielo sfocati a causa della commozione.
“Tu non puoi piangere...” dico “Tu sei Masumi Hayami, non devi piangere, tu sei una roccia…”
Le infermiere si precipitano in corridoio per fermarmi.
“Lasciatemi!” singhiozzo.
La puntura di un ago mi penetra il braccio, mentre una delle due donne mi riporta a letto.
“Masumi…” chiamo di nuovo “...devo vedere…”
L’infermiera mi sorride.
“Stia calma ora,” dice “potrà vedere la sua amica più tardi.”
Il giovane Hayami entra in camera. Si passa una mano fra i capelli.
“E’ morto, vero?” domando annientata.
“No,” dice Masumi “non ancora. La pallottola gli è come esplosa all’interno del polmone sinistro.
Poi aggiunge con voce sempre più incerta:
"Io non sono un dottore, non so cosa significhi questo, dal punto di vista medico, ma mi hanno detto che non soffrirà a lungo.”
Deglutisco.
“E Maya?”
L’uomo sospira:
“Shiori e Peter l'hanno imbottita di droga e psicofarmaci. Spero riesca a superare lo shock e che torni ad essere quella di sempre.”
“Voglio vedere Marc.” dico sollevandomi “Voglio tenergli la mano ancora una volta.”
Masumi annuisce.
Mi sostiene per la vita, portandomi fino all’ingresso della terapia intensiva.
“Non posso entrare con te” dice “e devi indossare il camice sterile.”
Mentre la porta automatica si chiude alle mie spalle, avanzo piano lungo il corridoio privo di finestre, pregando che sia un sogno.
Presto, mi risveglierò a casa mia, a Tokyo.
“Dèi, ve ne prego. Preferisco rinunciare all’altra metà della mia anima piuttosto che sopravvivergli...” mormoro giungendo le mani.
Nella stanza di Marc c’è un uomo.
Inizialmente, ho pensato fosse un medico, ma non indossa il camice sterile.
Apro piano la porta, ma la rabbia che mi monta dentro è incontrollabile.
“Come osa entrare qui senza accorgimenti?” chiedo.
L’uomo sorride e mi mostra l’anello di Marc.
“Sono venuto a restituirlo.” mi spiega “Ero laggiù quando è accaduta la tragedia.”
Non capisco quasi nulla di quel che dice.
Parla uno strano dialetto giapponese e non è un egiziano di certo.
“Chi è lei? Non credo nell'aldilà né nella morte che prende sembianze umane...” domando allontanandolo dal letto su cui giace Marc.
Ride di gusto.
“Lei sarà una splendida Akoya.” mi dice “Senza volerlo, ha reso perfettamente l’espressione della donna nel momento in cui gli abitanti del villaggio cercano di cacciare Isshin morente.”
“Ma che cosa ne sa?”
“Sono l’angelo della morte!” scherza “Lo ha detto lei!”
Ritorna serio in un istante.
“Non è giusto.” dice “Non è possibile che Marc muoia adesso.”
L’elettrocardiogramma scandisce il trascorrere del tempo impietosamente.
“Hanno detto che è questione di ore.” singhiozzo piano, accasciandomi davanti al suo letto.
L’uomo si inginocchia vicino a me.
“No,” mormora “lui vivrà perché non è come suo padre. La sua volontà di vivere è ferrea, soprattutto dopo aver incontrato lei e dopo avere compiuto la scoperta archeologica del secolo. Vive del suo lavoro e di amore generoso, non teme le convenzioni sociali. Lei non sa cosa ha detto a Ranja la sera in cui è andata da lui: Se anche ti avessi sposata, ti lascerei all’istante perché è un’altra la donna che amo. La aspettavo da sempre ed ora è qui…non posso rinunciarvi.”
Piango silenziosamente.
“Suo padre" continua l'uomo "non aveva un briciolo di coraggio. Marc ha il carattere di ferro di colei che lo ha messo al mondo, una donna che ha attraversato a piedi un Paese bombardato per andare a riprendere l’uomo che amava.”
“Ma i genitori di Marc lo hanno abbandonato.”
Mi guarda con rimprovero.
“E pensa che quella stessa donna che andò a cercare il suo uomo avrebbe mai potuto abbandonare la sua creatura?” chiede.
“No,” continua sconvolgendomi “le fu barbaramente strappato. Le fecero credere che Marc era morto! Il male in persona, quella volta, si mobilitò scatenando l’essere più abbietto che era alle sue dipendenze!”
L’uomo conclude l’assurdo discorso con un sospiro.
“Abbia fede,” dice mettendomi una mano solidale sulla spalla “sono sicuro che lei e Marc vivrete a lungo e felicemente insieme.”
Fa per andarsene.
“Chi diavolo è lei?” domando cercando di prenderlo per il braccio, ma inutilmente.
Mi guarda con occhi intensi.
“Sono il mèntore di Marc Weider. Credo che gliene abbia parlato.”
***
Le giornata sono piuttosto nuvolose, da quando siamo stati portati in ospedale.
I dottori non hanno voluto ancora dimettermi, reputando le mie condizioni psicologiche instabili.
Io ci rido su, perché, a differenza di me, che ne uscirò presto, una certa persona non lascerà mai più l’ospedale psichiatrico.
Quanto accaduto nell’arco di un mese, in effetti, ha dell’incredibile.
La mia amica - o come dice Marc, il <mio mèntore> - si è ripresa rapidamente.
Lo scherzetto di Shiori – bruciarle i capelli – le ha come “aperto” la mente e, adesso, sfoggia un caschetto ancora cortissimo ma delizioso: io la prendo in giro, dicendole che sarà molto più semplice indossare parrucche di scena.
Maya finge di dolersene, perché, secondo lei, Akoya ha i capelli del suo colore e, volentieri, avrebbe fatto a meno di artifici da coiffeur.
La stanza di Maya trabocca di rose scarlatte di dubbia provenienza.
Masumi ha detto che arrivano da Sharm, la località marittima sul Mar Rosso più “occidentale” che esista. Non so perché, ma io non ne sono convinta.
Marc è migliorato a vista d’occhio: appena ripreso conoscenza, per prima cosa, ha avuto da ridire sul mio pigiama con le sfingi.
Ha subìto altri interventi, ma, a giudicare dalla sua voglia di scherzare, il miracolo può dirsi compiuto.
Anzi, sono propensa a pensare che egli stesso sia un miracolo.
E così, siamo arrivati alla fine della nostra permanenza in territorio egiziano.
Abbiamo deciso di ripartire per il Giappone tutti e quattro insieme non appena le condizioni di Marc lo hanno consentito.
Il mio fidanzato, rompendo la promessa fatta ai medici di starsene tranquillo per almeno un altro mese, è andato allo scavo di Giza per definire delle questioni con Ranja. E ha promesso allo staff di ritornare dopo dieci giorni al massimo per riprendere a scavare.
Io non ho obiettato, anche perché, essendo una maniaca del mio lavoro, posso capire perfettamente la sua passione per l’archeologia.
“Si ama il proprio simile”, dicevano i saggi ed io credo che ciò corrisponda a verità.
________
“A cosa pensi?” mi domanda Marc, slacciandosi le cinture di sicurezza.
L’aereo per Tokyo è decollato senza alcuna difficoltà, complice l’aria secca del Nord Africa.
Sono indecisa se dirglielo.
“Al mèntore.” dico vaga dopo qualche istante.
“E’ seduta qui dietro.” mi prende in giro lui.
“No,” rettifico “non al mio, ma al tuo.”
Weider mi guarda stupefatto.
“Come può essere il tuo mentore una persona che non hai mai conosciuto?” domando.
Fa un gesto vago con le mani:
“Non lo so. E’ come leggere Shakespeare o Goethe e decidere che i sentimenti da loro espressi ti rappresentano a 360 gradi.”
“Autosuggestione, direbbero i medici,” affermo indugiando sull’anello d’oro bianco “ma io l’ho visto, ci ho parlato.”
“Con chi?” chiede Marc non del tutto convinto.
“Con Oozachi” rispondo con tono di voce flebile.
Gli scappa una sonora risata.
“Andiamo!” dice lui “Io credo che ci siano persone destinate ad essere legate per la vita e anche dopo, in qualche modo, ma non crederò mai nell’esistenza di fantasmi che vivono accanto a noi.”
Mi scompiglia i capelli, mentre lo fisso con vergognoso rimprovero.
“Ti sembra che una come me,” obietto “razionale e logica all’eccesso possa mettersi a dire bojate?”
Marc alza le sopracciglia.
“Magari,” risponde “la mia frequentazione ha fatto sì che emergesse la tua vena goliardica…”
Non posso fare a meno di sorridere, dandogli dello sciocco.
Mi prende la mano.
“Cosa ti ha detto il fantasma?” chiede dopo un po’.
Sospiro rispondendo alla sua stretta.
“Ha parlato dei tuoi genitori naturali,” racconto “descrivendo tuo padre come un debole e tua madre come una donna forte e capace di grande generosità in nome dell’amore. Proprio il fatto che tu somigli a lei è la causa della tua pressoché miracolosa guarigione.”
Marc sorride a labbra strette:
“Forse Ichiren conosceva i miei. Io sono nato a Nara, in fondo.”
Lo guardo sconcertata:
“Fino a due secondi fa, hai detto di non credere nei fantasmi ed ora ragioni per assurdo?”
Lo vedo incrociare le mani dietro il collo, titubante.
“Ho fatto un sogno, mentre ero incosciente.” confessa “C’era un bambino in fasce in braccio ad una donna bellissima: quel piccino ero io. D’improvviso, mi son ritrovato adulto, immerso nel buio. Tu eri accanto a me ed io ti rassicuravo dicendoti che, al principio, tutto è sempre buio. Poi, dalle tenebre, è emersa la figura di Oozachi e mi ha detto le stesse cose che hai appena raccontato.”
“Incredibile...” mormoro.
“E’ solo un sogno, Ayumi, e l’uomo che hai visto tu potrebbe essere chiunque. Magari ci ha sentiti parlare quando eravamo ospiti alla pensione Rabal.”
Annuisco.
“Sì, sarà così. Infatti mi ha anche raccontato della tua conversazione con Ranja, la sera in cui ella è tornata a cercarti.”
Appoggia il capo al sedile.
“Sapeva anche questo? Ha smascherato il mio tradimento, per caso?”
Ride di gusto.
Mi appoggio a lui, deliziata dalla sua espressione limpida e sincera. Il suo sorriso è l’unica cosa che desidero coltivare per tutto il resto della mia vita. Non potrei mai perdonarmi, se egli cambiasse la sua indole per causa mia.
***
Appena giunti a Tokyo, ho portato Marc a Villa Himekawa e, di seguito, al Kid’s Studio.
Gli ho presentato la signora Tsukikage ed egli ne è rimasto incantato.
Ha sfogliato per un intero pomeriggio le foto di scena degli spettacoli che hanno segnato un’epoca, facendosi raccontare di Ichiren e della Valle dei Susini.
“Prima di rientrare in Egitto,” dice “vorrei tanto tornare laggiù.”
“Come conosce la Valle?” gli ha chiesto sorpresa l’attrice.
“Ci sono nato,” spiega Marc “trentasette anni fa, ma i miei genitori mi hanno abbandonato.”
Si alza.
La sua faccia è triste ed io sento l’impulso di dirgli che non è così, che sua madre lo amava, ma è stata ingannata.
“Tutto quel che ho della donna che mi ha messo al mondo è questo anello, che ho regalato ad Ayumi. L’ho tenuto al collo per tutti questi anni, come fossi in attesa di qualcosa, che, però non ha trovato realizzazione.”
“Signora Tsukikage,” mi intrometto “Marc è un grande estimatore delle opere del maestro Oozachi. Lo ritiene addirittura il suo mèntore.”
“Che cosa curiosa,” risponde l’anziana “Tu gli somigli molto, fisicamente, anche se hai i capelli neri.”
Sono uguali ai suoi, non lo vedi?
Marc scuote la testa come qualcosa gli fosse entrato nelle orecchie.
“Che succede?” domando spaventata.
Si siede sulla poltrona, portando una mano alla testa.
“Nulla,” mormora “forse mi sono stancato un po’ troppo.”
“Come conosce Oozachi?” chiede la Tsukikage versandogli del tea “Lei è praticamente un tedesco e la letteratura teatrale delle nostre parti non è molto nota in Occidente.”
Marc sospira sorseggiando la bevanda:
“E’ stato quando ho saputo di essere stato adottato. Sono andato alla Valle, perché è lì che la mia presunta madre è stata avvistata l’ultima volta, e, visitando il Tempio, ho trovato i quaderni autografi del maestro. Fu una vera rivelazione. L’amore di anime, gli spiriti affini, la saggezza delle creature, uniche nel loro genere e, pur tuttavia, facenti parte dell’uno. La sua filosofia mi aprì la mente e il cuore. Mi diede speranza, mi fece riscoprire che non ero solo un ragazzino rifiutato o venuto al mondo per sbaglio. A sedici anni, idee come queste provocano un certo sconcerto, converrà con me.”
La signora Tsukikage annuisce un po’ commossa.
“Lei” continua Marc “è l’altra metà dell’anima del mio mèntore. Sono onorato di essere qui.”
“Hai capito molto bene lo spirito di Ichiren” soggiunge la donna “e sei un Isshin perfetto per Ayumi.”
Sorridiamo entrambi, guardandoci negli occhi.
Epilogo.
La mia razionalità ad oltranza contro la sua “scienza” ricca di sentimenti.
Siamo proprio fatti per stare insieme, io e Marc.
Al Kid’s Studio, io e Akame stiamo provando la scena del ritrovamento di Isshin nel cuore della Valle, poco distante dalla zona proibita. Akoya è turbata dall’uomo ammalato che tiene tra le braccia. Capisce in un lampo che è vivo, ma versa in condizioni disperate.
Il suo sguardo è rapito dalla bellezza del giovane, che, con le labbra schiuse, pronuncia una preghiera sconosciuta alla dèa.
Marc sta guardandomi con intensità: mi sta ammirando, ma non è solo questo.
Mi dice qualcosa ed è una domanda cui, mio malgrado, non posso rispondere.
Dimmi, Akoya, se io fossi morto, come avresti reagito?
Alla luce di quanto abbiamo vissuto, con che stato d’animo avresti accusato il colpo?
Avresti gioito del mio ritorno fra gli elementi?
Le anime dei morti non vivono fisicamente con noi - ne sono certo - ma il loro esempio, il loro calore è sempre presente.
Non è solo mero ricordo: è pura essenza.
Se fosse così, non ci ricorderemmo di loro che per un breve istante e quando si presentano certe condizioni esistenziali che stimolano la rimembranza.
Non lo so,Isshin.
Razionalmente, sono consapevole del fatto che la mia anima è destinata a te per altre dieci, cento, mille altre vite.
E, tuttavia, quando ho battuto i pugni sulle spalle del capo villaggio, che non osava confessarmi in quali condizioni versavi, ho sentito il cuore dividersi in due.
E’ stato come se stessi morendo insieme a te.
Se ti avessi perso così presto, non me ne sarei fatta una ragione tanto facilmente e, comunque, nessuna gioia del certo, futuro rincontro, mi avrebbe consolata.
Forse non sono ancora abbastanza saggia.
La consapevolezza di quel che sono stata tarda ad arrivare e questo sentimento inatteso mi blocca in questa dimensione con forza inaspettata.No, Akoya, siamo dèi e figli di dèi, ma anche uomini di carne e sangue.
E vorremmo sempre che il nostro amore stesse davanti a noi, in perpetuo.
Mi giro verso Marc per guardarlo negli occhi.
Ora è distratto dalla lettura del copione e sembra talmente assorto da fare paura.
Sto recitando la nostra storia.
Adesso, non mi impressiona più di tanto il fatto che a vestire i panni di Isshin sia un attore di talento, ma gretto nello spirito. Ciò che conta è che Kei Akame faccia vivere degnamente Isshin e, come mi ha insegnato Maya da brava rovina spettacoli, il mio cuore supplirà le sue pecche emotive.
“Sai cosa pensavo?” domanda Marc, quando, terminata la scena, lo raggiungo per dissetarmi.
“Cosa?”
“Che sarebbe carino se tu recitassi ne La dèa scarlatta a Giza.” risponde.
Lo guardo come stesse dicendo qualcosa di assurdo.
“Perché?” torna a chiedermi lui leggendomi nel pensiero “Perché ti sembra pazzesco? È un luogo meraviglioso, arcano quanto la Valle.”
“Ma non ha nulla a che vedere con la tradizione giapponese. E’ un politeismo completamente diverso.”
Marc sorride.
“Voi giapponesi siete conservatori ad oltranza. Ragionate per compartimenti stagni. E’ un modo di fare che può andar bene per la ricerca scientifica, in cui siete i primi al mondo, ma non fa bene all’arte.”
Giocherella con la penna.
“Pensa al teatro.” continua “Pensi che Oozachi sia da meno di Shakespeare?”
Nego col capo, ma non sono convinta del tutto.
La nostra cultura non può facilmente mescolarsi con elementi estranei.
Ho sempre pensato che la contaminazione sia sinonimo di perdita di significato.
Onodera si avvicina per udire la conversazione.
“Ma io e te <siamo diversi>” sta dicendo Marc “io sono un tedesco, tu sei giapponese. Io sono luterano e tu scintoista. Stiamo forse venendo meno alle nostre origini, stando insieme?”
“E’ un discorso interessante, vada avanti.” si intromette il regista.
Eccolo lì, pronto a tramare, a rubare le idee altrui come sempre: sono preda del disgusto.
Per superare Ryuzo Kuronuma venderebbe l’anima al diavolo.
“Ricordi” dice Marc fingendo di non vederlo “la versione ottocentesca dell’Amleto di Kenneth Branagh? O la rivisitazione dell’Aida alla Scala di due anni fa? Avresti mai pensato a un tale rivolgimento di scena su un classico?”
“Così” si riintromette Onodera “pensa che l’ambientazione egiziana possa dare ancora più rilievo ad Ayumi?”
Marc lo guarda con semplicità:
“Perché no? In fondo, è laggiù che ha compreso l’anima di Akoya.”
Il regista inarca le labbra soddisfatto.
“E’ un vero peccato che lei non possa calcare le scene con la signorina Himekawa.” dice.
“No,” risponde Marc “io sono un visionario, pessimo nel mettere in pratica le mie fantasie. Ma lei, signor Onodera, ha una bella gatta da pelare, adesso. Perché se le mie idee saranno realizzate in modo insoddisfacente, non ci sarà nessuna dèa sul palco.”
Lascio i due uomini discutere animatamente e raggiungo lo studio accanto.
Maya e Sakurakoji stanno provando la scena in cui Isshin chiede ad Akoya di rivelargli il suo nome.
“La mia testa è piena di cose, le riassume, ma non riesco a dar loro un nome. Come posso darne uno a te?” sta dicendo Maya con profonda angoscia nella voce.
Yuu insiste, trattenendola per un polso.
“Io sono venuto qui per adempiere ad una missione.” si ribella “Se non me ne ricorderò, accadrà l’irreparabile...”
Eccolo qui, il genio di Kuronuma.
Il palco vuoto, immerso nell’oscurità più profonda, sembra una galassia dentro l’infinito: un unico faro illumina i due protagonisti e sempre nello stesso istante.
E’ il simbolo della loro comune essenza.
“Sono bravissimi.” mormoro stringendo un poco i pugni.
Solo dopo qualche istante, mi accorgo che Masumi è dietro di me, appoggiato alla parete.
“Ciao.” gli dico.
Fa un cenno di saluto.
Indossa un vestito scuro e l’immancabile impermeabile beige che gli conferisce un’aria da dandy.
Si gratta la fronte un po’ perplesso.
“Che cos’hai?” gli chiedo accostandomi.
“Non mi abituerò mai a vederli insieme...” risponde, mentre prende il pacchetto di sigarette in mano. Lo fisso con rimprovero ed egli se lo rimette in tasca.
“E’ uno spettacolo teatrale.” gli faccio notare.
“No,” mi blocca “è molto di più e tu lo sai.”
Sospiro.
Masumi è molto possessivo, quando si tratta di Maya. Ha lottato talmente tanto per averla con sé che adesso non può impedirsi di seguirla come un’ombra.
A Giza, brandendo la pistola contro Hamill, avevo visto i suoi occhi azzurri diventare rossi di collera atavica, come se il bene e il male in lotta fra loro si confondessero.
Quel che più mi ha scioccata è stato constatare che avrebbe ucciso chiunque avesse fatto del male a Maya: se non fosse stata Ranya ad impugnare il fucile di precisione e ad ammazzare Hamill, lo avrebbe fatto lui e senza rimpianti.
Mai Aso entra nello studio con un pacco enorme in mano.
“Sarà una torta a tre piani...” penso reprimendo le risa.
“Guarda,” dico a Masumi mentre indico la ragazza col dito “ecco ciò che ti serve per scacciare collera e gelosia!”
Il giovane Hayami mi guarda ironico.
“Non vorrai mica paragonarla a Maya?” domanda “E' insignificante e, se mia moglie schioccasse le dita, Sakurakoji la mollerebbe all’istante.”
Mugugno.
“Davvero?” dico “Anche noi, tempo fa, pensavamo la stessa cosa di te e Maya. Come può, ci si chiedeva, il giovane presidente della Daito, bello come il sole, intelligente, scaltro negli affari, posare gli occhi su una creatura tanto insignificante quale è Maya?”
Mi guarda sconvolto:
“Parli sul serio?”
Rido di gusto:
“Certo che no! Maya è un essere speciale ed io la adoro. Ma anche Mai lo è, anche se noi non lo vediamo. Non esistono esseri inutili e, forse, la giovane cuocattrice rappresenta per Sakurakoji più di quanto egli stesso non voglia ammettere.”
Taccio, rapita dalla scena dell’innamoramento, che stanno recitando in modo magistrale.
Isshin, Isshin,
siamo nati fuori dal tempo, ma viviamo assoggettati ad esso, fino a che non torniamo in seno alla natura.
Amami fino a che splenderà il nostro giorno, poiché io, oggi, ho capito per qual fine sono venuta al mondo…Akoya, Akoya…
Tu sei nata per me. Sei la fonte unica del mio riposo e sollievo alla fame in tempo di carestia.
Vorrei per sempre essere unito a te, come in questo istante.
Vorrei poter respirare il fragranza dei fiori di susino che scaturisce dal tuo petto.
Toccarti come sto facendo, per sempre.
Sì, Yuu è ancora innamorato di lei, ma gli amori dell’adolescenza sopravvivono per sempre.
Sono miraggi infiniti, che racchiudono la fuggevolezza ansiosa del tempo.
E, con l’andare delle cose, finisci per fartene una ragione e, come nel mio caso, scopri che gli dèi hanno preparato qualcosa di meglio per te.
Masumi mi prende sottobraccio.
“Stai pensando a Peter?” mi chiede con rammarico.
“Sto pensando a quel che credevo fosse,” rispondo “ma cercherò di pensare a lui come ad un amore d’infanzia per non ricordare solo il disgusto.”
Mi torna in mente Shiori Takamiya e domando a Masumi che ne è stato.
“Non potevo credere alle mie orecchie,” racconta “quando Mitzuki mi ha portato le testate del gruppo Chuo in cui veniva annunziato a suon di fanfara il suo fidanzamento con uno sceicco arabo quarantenne.”
Rimango scioccata.
E’ andata a chiudersi in un castello in mezzo al deserto, proprio lei che, con tutta l’anima, desiderava sfuggire alla noia della sua casa.
“Pare” continua Masumi “che, dopo esser stata dimessa dalla clinica psichiatrica in cui suo nonno l’aveva fatta ricoverare, sia andata in vacanza nella Penisola del Sinai, sul Mar Rosso, e che lì abbia fatto amicizia col figlio di un ricchissimo magnate del petrolio. Neanche una settimana e si sono fidanzati.”
“Durerà?” chiedo ironicamente.
Masumi solleva le sopracciglia:
“Ci sono donne che sembrano nate per subire. Ma Shiori ha scelto da sola il suo destino. Comunque vada, è se stessa che deve ringraziare.”
Mi appoggio al braccio del mio amico, sentendomi d’improvviso spossata.
“Stai bene?
Masumi mi osserva preoccupato.
Lo tranquillizzo.
Manca poco alla prima ed io sto poco bene già da qualche giorno.
Sono la persona più felice del mondo, ora che ho Marc con me, ma, al tempo stesso, una malinconia latente mi attanaglia. A volte, è così forte da provocarmi nausee e capogiri.
Mi chiedo quando finirà tutto questo e potrò godermi la felicità in pieno.
Quando egli mi raggiunge, brandendo il suo biglietto aereo, mi sento ancora peggio.
“Tornerò in tempo per lo spettacolo dimostrativo.” dice baciandomi teneramente sulla fronte “Ho promesso ad Onodera di mandargli per tempo l’immagine della piramide esagonale che ho riportato alla luce perché venga presa a modello dai suoi scenografi.”
E’ entusiasta come un ragazzino, mentre corre verso l’uscita degli studi.
La mamma, che nel frattempo mi ha raggiunta, ha appoggiato la sua mano sulla mia spalla.
“Ayumi,” dice “credo sia ora di andare da un medico. Non mi piace per nulla questo carico di stress che ti porti dietro da qualche tempo.”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime:
“Ho solo bisogno di Marc e lui sta andandosene!”
Mi porto una mano alla testa, cercando di riappropriarmi della mia razionalità.
“Andiamo,” ordina la mamma “ho fissato una visita di controllo col dottor Fukuoka per le due del pomeriggio.”
La seguo docilmente, incapace di opporre resistenza.
Onodera non muove obiezioni, certo del suo trionfo ormai prossimo.
"Che uomo sciocco!", penso con fastidio, mentre fa il baciamano a mia madre.
Ha avuto successo solo grazie agli Hayami, ma non c’è alcuna bravura, in lui.
Potrebbe esserci, ma è tenuta a freno dal suo spirito arrogante e irrispettoso del prossimo.
Ha carpito una idea a Marc e, adesso, dice in giro che la genialata è sua…lo prenderei a pugni!
***
E’ la sera della prima.
La “fine” di tutto o il fine della nostra vita: devo ancora scoprirlo.
Maya è andata in scena prima di me.
Il pubblico è rimasto entusiasta di entrambe le rappresentazioni.
Il silenzio di tomba alberga ancora nelle mie orecchie tanto quanto il clamore degli applausi.
Quante volte ci hanno chiamato alla ribalta?
Hanno scandito entrambi i nostri nomi come se fossimo la stessa persona.
Gli dèi sono sempre gli stessi, qualunque sia il nome che attribuiamo loro.
Uguali nell’essenza, diversi a seconda del cuore che li ospita.
Ricordatevi di essere stati amati con tenerezza!Decido di raggiungere Maya, desiderosa di condividere con lei i sentimenti che ha suscitato in me e per sapere anche cosa ella ha pensato della mia interpretazione.
La trovo sul palcoscenico, a tendone calato, seduta sul nudo parquet.
La dèa è ancora in lei.
La maestosità contro l’essenziale.
Il tutto contro l’uno.
Lo scenario di sapore egiziano che ha fatto da sfondo al mio spettacolo non aveva nulla di “estraneo” all’atmosfera della Valle dei Susini.
E’ proprio come ha detto Marc: nell’arte, le contaminazioni danno luogo a capolavori, se sapientemente gestite.
Una piramide a base esagonale, immersa nella sabbia arancio del deserto e un albero di susino maestoso lì accanto, quasi fosse il simbolo della vita che nasce dall’aridità e si perpetua nel tempo.
Immortale come un monumento che ha cinquemila anni di storia.
Ho trovato la mia dèa.
Ero io l’acqua, il vento, il fuoco e la terra, in mezzo alla desolazione.
Non mi importa un accidente di quale sarà il responso della giuria.
Come dissi a Maya mesi addietro, io sarò Akoya per sempre, anche interpretandola una sola volta nella vita.
Prendo posto accanto a lei, sospirando profondamente.
“Sei stata grande...” dico col tono un po’ ironico.
“Anche tu non sei stata male...” risponde lei senza distogliere lo sguardo da un punto indefinito del palco.
Cerco di buttarla sul ridere:
“I nostri uomini ci staranno cercando.”
“Questo momento è solo nostro.” dice Maya cercando la mia mano.
“Abbiamo raggiunto lo scopo.” continua “Quanto ti dissi il giorno in cui venni a trovarti a casa, prima di partire per il viaggio di nozze in Egitto, si è avverato.”
Ci penso su.
“Non siamo io, ma noi?” le chiedo pur sapendo quale sarà la sua risposta.
“Io” dice Maya “credo di sapere quale sarà il responso della Giuria e, in ultima istanza, della sensei.”
Sbuffo leggermente e, mentre congiungo le mani attorno alle ginocchia, mi accorgo di non indossare l’anello di Marc. Lo tiro fuori da una tasca interna del kimono e me lo metto al dito.
“Vi sposerete?” mi domanda il mio mèntore indugiando sulla fascetta in oro bianco.
“Sì” rispondo “e fisseremo la dimora comune a Berlino. Anche se, di fatto, io continuerò a vivere qui ed egli a girare il mondo per riportarne alla luce i tesori nascosti!”
“Sei felice?”
La domanda di Maya mi coglie alla sprovvista, ma non è inattesa.
Annuisco.
“Lo sono” affermo “anche perché aspetto un figlio.”
Maya si alza in piedi come una molla, inizia a battere le mani entusiasta. Poi si commuove e mi abbraccia.
“Anche io!” confessa.
“Non dirmi che nascerà a giugno o ti picchio.” la minaccio sconcertata “Sono stufa di geometrie esistenziali, mi sei sempre tra i piedi!”
Scoppiamo a ridere e, in quell’istante, ci accorgiamo di non essere sole.
“Cosa dovremmo fare, Masumi?” chiede Marc.
“Io” risponde l’altro “se fossi in te, sarei geloso.”
Masumi solleva piano Maya, sotto il mio sguardo.
“Signora Hayami,” le dice “la sua opera di seduzione ai miei danni ha avuto completo successo. Sono completamente in suo potere, adesso.”
Marc, dietro di me, mi cinge la vita.
“Non assomiglierà mica a Maya?” domanda il mio futuro marito comicamente “Se dovesse accadere, ti lascerò all’istante!”
L’assistente di produzione viene a chiamarci.
La Giuria dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo ha raggiunto il verdetto.
Mano nella mano, raggiungiamo la sala conferenze.
La tensione è palpabile, quando la signora Tsukikage, in abito da sera nero e bella come non mai, prende la parola.
Marc si lascia andare ad un entusiastico commento.
“Signore e signori qui presenti,” dice solennemente l’attrice “spettatori televisivi che, con devozione, avete seguito in diretta la rinascita del capolavoro scomparso di Ichiren Oozachi, è con profonda commozione che, questa sera, vi annuncio che i diritti di rappresentazione de La dèa scarlatta passano dalle mie mani a quelle di Maya Kitajima, perfetta interprete dello spirito del maestro.”
Un brusio insistente percorre la sala.
Io e Marc facciamo partire un applauso caloroso.
“Ma,” continua l’attrice “farei un torto imperdonabile all’arte se l’interpretazione geniale di Ayumi Himekawa dovesse restare irripetuta.”
Maya mi prende per mano: siamo entrambe gelate.
“Pertanto, fermo restando il fatto che i diritti appartengano a Maya, dispongo che, annualmente, la stessa signorina Himekawa metta in scena la sua dèa scarlatta. Auspicando che, con il suo talento versatile, possa regalarci ogni volta qualcosa di nuovo e meraviglioso!”
Poi conclude. Sembra abbia un nodo alla gola:
“Grazie di cuore a tutte e due per avere anche voi, come me, dedicato ad Ichiren gli anni più belli della vostra vita.”
Un applauso scrosciante e cori da stadio risuonano nella sala conferenze e in tutto il teatro. Le persone che, non potendo entrare, hanno assistito alla rappresentazione e all’annuncio dalla strada grazie ai maxi schermi sembrano demolire le pareti del teatro a suon di battimani.
La signora Tsukikage, fra le lacrime, indica con un ampio gesto il pubblico reale e virtuale.
“Grazie a tutti.”
Solleva ad entrambe noi le braccia:
“La dèa scarlatta è rinata!!!” annunzia, completamente sopraffatta.
“La triade perfetta.” mormora Masumi applaudendo.
Ci ritiriamo tutte e tre nei camerini, spossate come non mai.
La signora Tsukikage ci tiene per mano come fossimo le sue figlie. E noi non abbiamo la forza di lasciar andare quella mano che, solo ora lo comprendiamo, ci ha allevato nello spirito con le parole dello spirito.
“Cos’hai al dito, Ayumi?” mi domanda.
Sta toccando il mio anello, ma non lo guarda neanche.
“Non lo aveva visto?” chiedo di rimando “Il giorno in cui le ho presentato Marc lo avevo con me ed egli le spiegò che era il ricordo di sua madre.”
“Solo ora mi accorgo” risponde “che quanto porti all’anulare, prima di appartenere a te, è appartenuto a me.”
Sento una scossa elettrica sulla schiena.
Marc ci viene incontro col sorriso radioso.
Bacia la mano della sensei, rinnovandole i complimenti per la mise.
La signora Tsukikage lo prende sottobraccio e si allontana con lui.
Epilogo II.
“Nonno, ho deciso di farmi suora.” annuncio col tono solenne “Dopo aver parlato col dottor <freud>, sono arrivata alla conclusione che non esistono uomini degni, a questo mondo.”
Alzo il collo altezzosamente, mentre il vecchio mi fissa come se avesse davanti un’aliena.
“Non mi chiamo Freud” mi corregge il luminare, sconcertato.
“Sei fuori di testa!” mormora il nonno “Tu sei l’unica erede del mio vasto impero commerciale! Devi darmi un nipote!”
“Vuoi firmare il mio certificato di morte, è così?” chiedo sprezzante “Sai benissimo che non potrei mai portare avanti una gravidanza...”
“Sua nipote ha ragione.” mi fa eco il medico “L’anemia la debilita fortemente, anche se il problema più grave è un altro…”
Si riferisce alla mia follia, il cane. Ma io non sottoscriverò né mi ribellero, figlio di puttana!
Il nonno incrocia le braccia come fosse in pensiero.
“Proprio ora” mastica nervoso “che qualcuno ti aveva adocchiata.”
Drizzo le antenne.
“Chi?” chiedo curiosa.
So già tutto dei suoi intrallazzi, ma fingo di fare la povera pazzoide inconsapevole fino in fondo.
Il dottore scuote il capo:
“Non è così che si risolve la faccenda. Shiori non può avere una vita normale. Ha dei problemi seri!” dice irritato.
Lo guardo con stizza:
“Vada a fare l’elettroshock ai suoi sorci.” dico strattonandolo un poco.
Guardo il nonno di nuovo, come in cerca di risposte.
“Dopo Shin, un altro uomo ha chiesto di frequentarti a scopo matrimoniale,” racconta “ma credo che non se ne farà nulla.”
“E perché?” chiedo agitandomi.
“E’ straniero e non mi va che tu lasci il Paese.”
“Questi sono cazzi miei!” obietto sempre più eccitata.
“Shiori,” mi riprende il nonno “stiamo parlando di uno sceicco. Dovresti lasciare questa casa e andare a chiuderti per sempre nel palazzo dorato di un uomo ricco e, certamente…molto esigente. Certo, lui ha già dei figli e delle mogli, il che risolverebbe una parte del problema esposto dal dottore. Pare non gli interessi che tu abbia bambini, ma solo la tua bellezza e i tuoi soldi, naturalmente.”
Si schiarisce la voce.
“Signorina,” si intromette il medico “le sue condizioni psichiche, in un contesto sconosciuto, potrebbero peggiorare.”
“Stia zitto, idiota.” blatero “Adesso le decisioni le prendo io, ok? Quanti anni ha, nonno?"
“Quarantuno.”
“Colore dei capelli?”
“Che colore vuoi che abbiano i capelli di un originario dell’Arabia Saudita?”
“Se ha gli occhi azzurri, lo sposo.”
“Li ha marroni.”
“Va bene lo stesso.”
Il dottore segue con lo sguardo allibito il botta e risposta tra me e il nonno.
“Signori, vi prego,” dice con tono di esortazione “siamo realisti!”
“Patrimonio?” incalzo.
“Centocinquanta miliardi di dollari.”
“Case?”
“Un castello medievale in Scozia, due palazzi liberty a Londra, tre appartamenti a Parigi, cinque a Roma, diciassette attici tra New York e Tokyo, un ranch in California e uno nel Texas, otto grattacieli a Toronto, tre ville del primo Novecento a Washington, di cui una accanto alla Casabianca, due fattorie che coprono quasi tutto il Queensland e…”
La lista è ancora lunga.
“Basta così!” dico alzando le mani “Hai detto che altre mogli?”
"E' così.” risponde il nonno.
Inarco le labbra soddisfatta.
“Vedrai, nonno, non gli darò tregua e resterò vedova prima di quanto non pensi! Lo stremerò ogni notte e, al momento opportuno, me ne libererò...”
Il dottor Freud si è messo le mani sulle orecchie:
“Non posso più sentire!” mormora preda del disgusto “Lei andrebbe rinchiusa nel carcere di Guantanamo. La parola diritti umani non potrebbe trovare applicazione davanti a un simile scempio…”
Il nonno si schiarisce la voce.
“Te la senti?” mi chiede.
“Voi siete tutti matti!” protesta il medico alzandosi.
Appena se ne va, mi lascio andare ad una fragorosa risata.
“Prepara le carte, nonno, voglio partire domani stesso.”
Sono nella mia stanza.
Come ogni sera, completamente svestita, mi guardo nello specchio che rimanda la mia immagine integrale.
I segni delle ferite sono scomparsi completamente. La mia pelle odora di miele e latte.
Suona il telefonino.
“Ciao, tesoro,” mormoro sdraiandomi sul letto “ho risolto ogni cosa. Domani partiamo per l’Arabia Saudita. Ho appena prenotato i biglietti...”
“Brava,” mi dice “sei davvero incredibile.”
“Vorrei solo” mormoro con infantile rammarico “che tu fossi qui già adesso. Sai, sono sicura troveresti lo spettacolo di tuo gradimento.”
“Posso immaginarlo…stai facendo il tuo giochetto preferito pensando a me? Non sciuparti troppo, cocca, voglio essere io a strapazzarti un poco, magari facendo il bagno in centocinquanta miliardi di banconote da un dollaro…”
“Ne valeva la pena, allora?” chiedo, pur sapendo come mi risponderà.
“Che cosa?”
“Lasciar perdere quella donna insulsa travestita da corvo e i suoi diritti di rappresentazione…” rispondo beffarda.
“Oh, sì,” sussurra lui “è stato un bene che il mio collaboratore ombra ti abbia trovato, quella sera…è un sentimentale, lo hai commosso al punto che mi ha chiamato dicendomi di provare a consolarti della perdita di quel deficiente di mio figlio…e devo dire che mai richiesta fu più azzeccata.”
Sorrido a labbra strette.
“Vedrai,” mormoro sensuale “il clima dell’Arabia Saudita ti rimetterà in piedi ed io penserò a tutto il resto, a tutto quello che ti piace di più…”
“E senza incomodi futuri, vista la mia imbarazzante situazione.” fa eco l’uomo.
“Hai contattato quel tizio della yakuza?” domando dopo un poco.
L’uomo annuisce.
“Sì, tuo nonno lascerà questo mondo quanto prima. Pensa, è il figlio di quel tale che andò a distruggere il Teatro Gekko…la storia si ripete...”
“Bene,” rispondo “tutto va come deve andare. Metteremo insieme un patrimonio enorme e poi schiacceremo anche tuo figlio, tua nuora e tutti quelli che detestiamo.”
Stringo le palpebre in preda ad una euforia incontenibile.
Chiudo la chiamata.
(Continua con un nuovo punto di vista!)