Murasaki no Bara no Yume  - Glass no Kamen  * Il Grande Sogno di Maya * Anime, Manga, Drama, World e Fanwork

A Scarlet Rose (II Version)

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view post Posted on 30/7/2010, 12:57
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Bara Wa Utsukushiku Chiru = Le rose appassiscono in bellezza (opening Lady Oscar)

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Scusami per il ritardo con cui commento le tue facfiction, ma voglio dirti che sono tutte molto belle e che mi piace il modo in cui scrivi.
Della versione di Mizuki mi è piaciuta molto la descrizione che lei fa di Masumi. E' proprio il suo ritratto.
CITAZIONE
Assomiglia alla statua di Prometeo incatenato, ma anche a certi capolavori del Michelangelo poco noti a chi non è esperto d’arte: si chiamano “prigioni” e rappresentano corpi celati all’interno di blocchi di marmo grezzo.
Questo è Masumi Hayami: la sua anima mi appare ben più grande ed ampia di quello splendido involucro che la racchiude.
Sembra si estenda al di fuori di se stessa come fosse in ricerca.

 
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view post Posted on 2/8/2010, 16:19
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Aruka, ti ringrazio moltissimo.
Se ho scritto qualcosa di buono è senz'altro dovuto al soggetto e, forse, anche al fatto che la sensei sta facendo penare i suoi fans.
Ripensandoci, non è un male.
E' bello discutere come facciamo.
Per quanto riguarda la fiction in corso (il pdv di Hijiri, cioè)...
Chi ha letto la first version sa che era suddivisa "temporalmente" in passato, presente e futuro.
Rileggendola, mi sono accorta che si creava una sorta di confusione, motivo per cui ho "appiattito" la dimensione storica e traslato tutto al presente (mentre l'azione trifasica la rimando a una fic nuova che sto per pubblicare).
Ora, scusatemi, pensavo di poter riuscire a riprendere Hijiri già da oggi, ma non ne ho avuto il tempo.
Ma domani riprende a pieno regime e con una piccola novità.
Mi rendo conto che postare come ho fatto l'anno scorso - praticamente tutti i giorni - mi porta a fare doppia fatica adesso, ché la mole di ciò che ho scritto è davvero pazzesca.
Come vi accennavo, poi, non mi va di ripostare certe parti. Oggi mi sento molto "diversa" rispetto all'anno passato.
Grazie della vostra attenzione.
E...sono contenta di essere "a casa".
 
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view post Posted on 3/8/2010, 16:12
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I need a drink!


“Buona sera.”
La signorina Mitzuki, dottoressa in legge non praticante e semplice segretaria, mi saluta con tono formale. E non fa a meno della consueta ironia:
“E’ la serata ideale per fare un giretto.”
Fuori imperversa un ciclone.
Il vento è talmente forte che pare avere la meglio sulla stessa forza di gravità e le gocce d’acqua, che danzano al suo ritmo senza tregua, sembrano non avere tempo e voglia di cadere sull’asfalto.
La primavera, piovosa come non mai, preannuncia la classica estate torrida.
“Sono rimasto bloccato” le dico “ed ho pensato di venire quassù. Onestamente, speravo di trovare qualcun altro.”
Mi guarda sconcertata:
“Lei sconosce il significato della parola tatto…”
“Come lei, del resto.” ribatto accendendomi una sigaretta.
“Non mi pare di essermi mai posta maleducatamente nei suoi confronti.” mi apostrofa pedante.
“Mettiamola così:” provo a troncare “io ho fatto una grossa gaffe con lei e temo che sia tardi per iniziare a provare reciproca simpatia.”
Mi dà le spalle.
La sua calma impressionante cozza con la furia degli elementi.
Penso sia una donna ben strana: ha orientato il computer su cui sta lavorando verso la finestra e scostato le tende per “godersi lo spettacolo”.
Di solito, le donne strepitano e lanciano urletti pensando alla messa in piega che finirà per rovinarsi a causa dell’acqua e del vento.

Lei no.

Sembra quasi che la tempesta le infonda energia e buona lena: digita sulla tastiera con agilità e, nel mentre, si gode l’inconsueto spettacolo.
Non mi parla più.
E così, senza volerlo, prendo a guardare anche io fuori dalla finestra, godendomi un silenzio che, a pensarci bene - sebbene sia un’ombra - non ho mai sperimentato.
Il mio respiro pare andare a tempo con gli elementi della natura e col picchiettare delle sue dita.
Guardo, dalla mia postazione, la schiena diritta di Mitzuki, l’impercettibile movimento delle sue braccia e, incredibilmente, mi sorprendo a pensare con curiosità a quali pensieri possono nascondersi nella testa di quella donna così ordinaria e razionale.
Bella, di certo, non è: non è grassa, ma la sua altezza può creare imbarazzo in molti uomini; le lenti le conferiscono un’aria da maestrina saputella; veste con gusto, ma troppo classicamente; i capelli, lunghissimi e di un bel colore ramato, invece, sono gradevoli alla vista.
Forse, costituiscono l'unica cosa realmente apprezzabile in lei.
Mi ha raccontato, qualche giorno fa, di essersi laureata nel ’99: quindi, deve avere circa trentaquattro anni.
“Vuole un caffè?” mi chiede alzandosi.
Annuisco ringraziandola con un cenno del capo.
“Il signor Masumi è a teatro, questo pomeriggio, e non penso che rientrerà.” mi comunica mentre mi serve la bevanda.
Mi ricordo in un istante che è il giorno della prima di Lande Dimenticate.
Anche io sarei dovuto andare, ma il tifone ha bloccato la mia auto proprio davanti al Palazzo di Vetro della Daito.
“Stavo giusto sistemando l’atto di proprietà della Sala Ugetsu.” mi informa forse pensando che la cosa possa in qualche modo interessarmi.




La Sala Ugetsu...
Il Presidente ed io abbiamo lavorato come forsennati a questo progetto.
Mettere in lizza Maya Kitajima per il Gran Premio del Festival delle Arti non è stata cosa semplice: Ryuzo Kuronuma, che l'ha scelta come protagonista, si era inimicato le produzioni Osawa e queste lo avevano “punito” offrendogli un teatro che, di primo acchito, aveva le sembianze di una spelonca.
Nessuno avrebbe comprato un biglietto per assistere alla interpretazione di una attrice, seppur geniale.
Pensavamo, io e il signor Masumi, che la transazione commerciale si snodasse senza intoppi, ma così non era stato: scoperto che era intento della Daito rilevare la sala, il direttore aveva alzato la posta in gioco.
In poche parole, fummo costretti a regalare parecchi soldi superflui.
Poi fu la volta dei lavori di restauro, che, per fortuna, si svolsero a tempo di record e senza complicazioni, anche perché l’edificio era vetusto, ma non presentava problemi strutturali.

Rammento che il signor Hayami, in uno dei suoi insoliti momenti di euforia, aveva pregato ironicamente il cielo affinché lo spettacolo di Maya avesse successo, in modo tale da recuperare buona parte dei soldi investiti.

Nel frattempo, per quanto fosse molto preso dalla giovane attrice, i preparativi per le sue nozze si intensificavano: cominciò a circolare la voce che si sarebbe sposato subito dopo la messa in scena de La dèa scarlatta, che, indipendentemente dall’interprete di Akoya ancora da scegliere, si sarebbe svolta il due gennaio dell’anno successivo.

La signora Tsukikage, che, all’epoca di questi avvenimenti, aveva designato la sola Ayumi come possibile Akoya, aspettava che Maya, finalmente, raggiungesse la storica rivale così da offrirle un’altra chance.
Se Maya avesse vinto un qualsiasi premio dell’Associazione Nazionale dello Spettacolo, entrambe le ragazze sarebbero state istruite nel ruolo della dèa e, solo alla fine, la sensei avrebbe operato una scelta.
Forse, la vecchia attrice sentiva arrivare la fine e si era decisa a mettere in cartellone quel benedetto spettacolo nella convinzione che i tempi, anche se non maturi, stringessero.

Anche in quella occasione, la Daito riuscì ad intrufolarsi nell’affare, corrompendo una parte della commissione e offrendo buona parte dei fondi per l’allestimento del dramma e il recupero della zona ferroviaria destinata allo Shuttle X.

Il signor Masumi era <realmente> all’apice del successo.



“Non è pazzesco che sia andato nonostante questo tempo?” mi domanda con espressione assente la signorina Mitzuki.
Capisco al volo che sta parlando del Presidente:
“Non poteva mancare, fa parte della strategia. Quell’uomo ha una grande visibilità ed è fondamentale che egli presenzi alla prima.”
Scuote leggermente il capo palesando disappunto:
“Sembra che tutto il mondo giri intorno a lei…a Maya, intendo. E anche io, per paradosso, ho preso a girarci intorno.”
“La Daito si aspetta molto da questa giovane.” affermo sorbendo la bevanda.
“Anche Ayumi è legata alla Daito, ma non abbiamo mai fatto nulla per lei.”
“Unicamente” ribatto “perché la Himekawa ha le spalle ben coperte.”
Torna davanti alla finestra per guardare la pioggia.
“Non mi fraintenda,” dice “io stimo molto Maya e le sono anche affezionata. Lei saprà senz’altro, occupandosi di lei, che , per un certo periodo, sono stata la sua manager.”

Non capivo il perché di tanta, improvvisa tristezza.
Non potevo sapere quali sentimenti celasse nel cuore.
La persona che stava colloquiando con me era vicina al signor Masumi, forse più di quello che io, all’epoca, potevo immaginare.



“Mi spiace” dico “di averla sottovalutata. E le auguro di trovare presto un posto di lavoro che la soddisfi.”
Sorride e, per un attimo, mi pare di percepire il colore azzurro dei suoi occhi attraverso le lenti spesse e ambrate.
“No,” mi corregge con incredibile dolcezza nella voce “è qui che desidero stare.”
Non ho alcuna voglia di approfondire, ma ho come la sensazione che ella nasconda qualcosa, forse un sentimento d’affetto per il signor Masumi.
Il pensiero di Maya mi distoglie da quei pensieri.
Guardo l’ora sul Tissot.
La tempesta non accenna a diminuire e, ammettendo che gli attori siano saliti sul palco in orario, lo spettacolo deve essere, oramai, al culmine.
Do una occhiata distratta alle carte che Mitzuki ha abbandonato sul suo tavolo: l’atto di proprietà della Sala Ugetsu è stato redatto con grande maestria.
Poi, noto il suo cellulare, la piccola borsa di Vuitton – un accessorio che tutte le teen ager giapponesi hanno – e alcune ricevute fiscali.
Si accorge che il mio sguardo indugia su una di esse, in particolare.
“C’è un po’ di disordine,” si giustifica raccogliendole alla rinfusa “devo archiviarle in una cartella a parte: sono le spese per il party di presentazione della futura sposa. Come da tradizione, spetta al signor Masumi sostenerle, assieme all’acquisto degli abiti da cerimonia.”
Le caccia nel primo cassetto aperto che trova.
“Questo matrimonio è un errore colossale…” mi lascio sfuggire accendendomi l’ennesima sigaretta.
Mitzuki si avvicina a me e, senza dire una parola, prende il pacchetto dalla tasca della mia giacca.
Sono stupito da tanto ardire.
“Me ne offre una, vero?” domanda a labbra strette.
Ha già portato la cicca alle labbra e, prontamente, sta accendendosela.



Shadow’s Life.

I mesi trascorrono rapidi, quando si ha molto da lavorare, quando, come nel mio caso, si deve vegliare, accudire, provvedere.
Le repliche di <lande Dimenticate> si sono protratte per tutto il mese di giugno.
Col caldo estivo, è arrivato anche l’ambito premio del Festival delle Arti per Maya Kitajima e, conseguentemente, il sospirato viaggio a Nara, dove la signora Tsukikage avrà cura di completare l’addestramento delle sue giovani allieve.
Il signor Masumi, con mia grande sorpresa, ha deciso di trasferirsi nella casa sulla scogliera per sfuggire all’afa cittadina.
Mitzuki mi ha riferito che è suo intento <riflettere> sul futuro senza troppa gente intorno ed io spero con tutto il cuore che ripensi al suo matrimonio con lucidità.
Non che abbia fermato la macchina burocratica, anzi: so per certo che la signorina Shiori va a trovarlo molto spesso e che i rapporti fra loro si sono fatti, diciamo, “più profondi”.
In cuor mio, spero che non commetta nulla di cui poi doversi pentire.
È un uomo sano, ma, ultimamente, sta dandoci sotto con l’alcool: l‘ho sorpreso, una mattina presto, con in mano un panciuto di brandy e tante volte l’ho visto correggersi il caffè attingendo ad una fiaschetta tascabile di grappa.

Decido di andarlo a trovare dietro la scusa di sottoporgli delle carte urgenti.
Lo trovo in salotto, mezzo disteso sul divano, con la camicia aperta.
La porta che dà sul terrazzino è aperta: manda all’interno un’arietta deliziosa.
Niente a che vedere con l’atmosfera <condizionata> del suo ufficio, che pare rifletterne, invece, il gelo del cuore.
Shiori Takamiya se ne è appena andata - così mi ha riferito il custode - e <lui> non sembra molto sobrio.
“Mi ha detto” racconta infatti con voce cantilenante “di aver saputo dal nokodo che forse rinvieremo le nozze. Non ha battuto i piedi, ma ha iniziato a piangere. Se una donna piange in quel modo, io non riesco a dirle di No…”
“Deve perseverare.” gli consiglio in tono concitato “Ha fatto il primo passo ed è giusto che lei sia onesto, essendo innamorato di un’altra donna!”
Masumi Hayami mi sorride con ironia:
“Innamorato…”
Si alza dal divano:
“Ti va di andare in spiaggia, Hijiri?”
Il rumore dell’acqua sulla battigia è ritmicamente regolare così come l’andare del moto ondoso.
Penso che è davvero una magnifica giornata, adatta per godersi il sole e rilassarsi.
Ma l’uomo che ho davanti è una pila di nervi, tenuta a freno soltanto dall’alcool e sembra ormai aver compiuto l’irreparabile.
“Non posso più sottrarmi.” mi dice guardando la distesa azzurra “Devo andare fino in fondo ed è solo colpa mia.”

Il mare.
Del medesimo colore delle iridi di Maya.
E poi, lì nel mezzo, c’è una pietra scura, di dimensioni infime, che sembra rompere l’armonia del paesaggio: le onde sbattono su quello scoglio noioso impietosamente, come se fosse loro desiderio eliminarlo per sempre.
Il signor Masumi non se ne rende conto, ma Maya sta al mare come la signorina Shiori sta allo scoglio; è una proporzione matematica perfetta ed io mi chiedo come possa anche solo per un attimo lasciare l’immenso per entrare in una dimensione di vita angusta, dove il sesso, la passione, la complicità sono ridotti a puro formalismo.

Avevo la consapevolezza che, se il signor Masumi avesse scelto Shiori Takamiya, sarebbe impazzito e poi, inevitabilmente, con l’occhio lucido della follia, avrebbe posto fine alla sua esistenza.
Non si vive senza la propria metà di se stessi (ricordatelo, Miuchi!!!).


Quando lo vedevo così triste, quasi impaurito all’idea di fare un passo di portata tragica, dimenticavo tutto l’amore che mi portavo dentro per Maya.
All’epoca, anch’ella iniziava ad essere tormentata da “qualcosa” di inatteso.
Per lei sola, però, ché io me lo aspettavo.


Continua!...
 
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luna74
view post Posted on 3/8/2010, 18:30




Bentornata Laura ! Splendidi questi capitoli... :applausi: :applausi: per me sono una novita' e non vedo l'ora di seguirne gli sviluppi ...e poi adoro il tuo Masumi!!! ::emoheart: ::emoheart:
 
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view post Posted on 4/8/2010, 16:29
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Grazie, Luna! Questo Hijiri è un po' infagottato, come nel manga, ma ci sarà qualche colpetto di scena...
Un bacione!


Souls in the Scarlet Valley.

Maya è arrivata alla Valle dei Susini entusiasta, ma la sua allegria va scemando col passare dei giorni e non credo che ciò sia imputabile solo alla superiorità artistica di Ayumi Himekawa.


Sì.
Successe qualcosa, durante la scomparsa di Eysuke.
E, mentre una parte dei dirigenti pregava perché il vecchio magnate si salvasse, io – e forse anche Mitzuki - speravamo, invece, che la sua carcassa giacesse fra i monti sacri che aveva osato profanare.


“Se Eysuke muore,” mi sorprendo a pensare mentre vagabondo per la valle
“Masumi sarà libero di vivere il suo amore ed io mi metterò il cuore in pace, vedendo due persone degne di stima finalmente felici.”

Guardo in alto, nel cielo, e constato che stelle prima nitidissime sono, adesso, coperte da una nebbia densa di colore scarlatto.
E’ di certo l’effetto degli alberi che mi circondano.
Inizia a piovere.
Prima piano, poi forte.
Di primo acchito, ho l’impressione che quanto mi circonda scompaia misteriosamente.
Si apre un solo scorcio su quell’universo incantato e terribile.
Probabilmente, è tutto ciò che debbo vedere.
Sono davanti a un tempio e penso che trovarlo così, in piena notte e mentre diluvia, sia una sorta di benedizione.
Ma <quel> tempio non è disabitato.
Scorgo un uomo e una donna che si abbracciano, ma non c‘è gioia nei loro occhi. Solo disperazione e la sicumera di assistere ad una veglia funebre.

Non dimenticherò mai quella notte di pioggia né il terribile raffreddore che ne conseguì.
Vidi tutto.
Vidi due persone che si amavano, ma non avevano il coraggio di svelarsi.
Vidi l’amarezza sui volti di due anime in una che, se solo avessero voluto (non potuto, ma voluto!), sarebbero stati in gradi di fermare il tempo e persino il corso di un fiume.
Le anime gemelle sono destinate a vivere insieme e, se la storia non ha luogo, la colpa non è del cielo, ma delle circostanze che esse non hanno saputo affrontare.
Chi segue un amore di ripiego è condannato dagli dèi, ritenuto al pari di un blasfemo e, per questo, viene punito.


Mi consumo gli occhi.
Sono dibattuto da contrastanti sentimenti: rompere per sempre la loro armonia palesando la mia presenza o lasciare che il loro destino si compia sotto il mio sguardo.
Forse, solo per un istante, desidero trovarmi lì, al posto del Presidente, ma la verità è un’altra: provo pena infinita e il constatare l’insufficienza della mia amicizia, in un momento così drammatico, mi procura molto dolore.
Forse, se penso anche adesso al bene di Masumi, il mio per Maya è un amore da poco o, semplicemente, l’anticamera di qualcosa di molto più grande.
Mio soltanto, soprattutto.

Qualche giorno dopo, Maya interpretò la rinascita della dèa in modo molto suggestivo: quando, nascosto per bene, la vidi mormorare parole sacre sul pelo dell’acqua, ripensai al mare che ella rappresentava, al signor Masumi che viveva immerso nell’atmosfera affascinante di quei ritmi apparentemente ordinari, ma sensuali nel profondo.
Come poteva solo pensare di rinunciarvi?
Già allora, prima di avere occasione di avvicinarla fisicamente, mi risultava difficile immaginare Maya “in un certo modo”.
E solo ora realizzo con chiarezza il perché: ho sempre saputo che apparteneva a lui. Soltanto lui poteva stringere a sé quel corpo così piccolo senza sentirsi sordido o, peggio ancora, inidoneo.
Io non sono nato per amare Maya Kitajima.
E la vita mi ha insegnato che non basta desiderare una cosa con tutte le proprie forze, financo crederci sino alla fine, per ottenerla.



Love can change.

E’ passata la pioggia.
Il vento, adesso, è leggero, fresco e profumato di ozono.
Sento il capo di <lei>, leggero, sulla mia spalla.
“Dove sei con la mente, oggi?” mi domanda con tenera tristezza.
Io non oso rispondere, ché dovrei dirle ciò che mi angustia e che riguarda una donna che non è lei.
Una donna che, da sola, riesce ad isolare ogni mio pensiero da tutto il mondo.
“Sto pensando a due uomini.” rispondo “A un padre e a un figlio. Diversi e simili allo stesso tempo.”
Ella mi guarda stupita.
“In che rapporti sei con costoro?” domanda.
“Sono i miei capi.” dico vago. Penso a loro, è vero, ma sempre in riferimento a Maya.
Sospira.
“Non debbono essere delle belle persone, a giudicare da come il loro pensiero ti ha intristito.”
Si alza dal divano per dirigersi verso la cucina.
Inizia ad armeggiare con tazzine e caffettiera.
Anche <lei>, adesso, tace e gliene chiedo spiegazione.
“L‘uomo a cui tengo molto, quello di cui ti ho parlato,” mi spiega “si trova in una brutta situazione.”
Mi porge una tazza di caffè all’americana.
“Per via del quadrilatero?” le chiedo con forzata ironia, cercando di dimenticarmi di Maya Kitajima.
Annuisce ed io capisco che non sta scherzando, che ho colto nel segno.

Sono venuto qui, nella sua casa, senza neppure sapere perché.
Il mio istinto mi diceva che l’avrei trovata a casa.
Ma, adesso, se la guardo, mi sento inquieto, perché mi sembra di averla vista solo poche ore fa, mi pare di conoscerla più intimamente di quanto non creda.


Certo, non potevo sapere perché.
Quella che avevo davanti era una donna assai diversa da quella che sedeva abitualmente nello studio privato di Masumi Hayami.
Mi accolse con i capelli chiusi in una coda bassa e senza occhiali.
I suoi abiti erano inguardabili, tanto risultavano “succinti”.
Come potevo riconoscere in lei una dottoressa in legge costantemente in tailleur e tacco dieci?



“Quell’uomo si è affossato con le sue mani.” dice semplicemente dandomi le spalle “Ed ora va incontro al suo destino, certo della fine.”
Fischietto all’idea di ascoltare una storia coi fiocchi.
Ma <lei> non sembra aver voglia di sciogliere i nodi di un dubbio che non posso avere.


Il Giappone, mi ripetevo, è pieno di persone come queste.
Pieno di ricchi o meno ricchi che impongono ai propri figli donne di rango per perpetuare la specie eletta.
Di Masumi Hayami ce n’erano almeno una dozzina.



“Ti ho già detto che siamo simili, vero?”
La sua domanda arriva inaspettata.
Pare avermi letto nel pensiero, ma, di certo, è un caso.
“Riguardo a cosa?” chiedo perplesso.
“La nostra storia di cuori infranti.” risponde poggiando la schiena alla porta a vetri “Io non so ancora nulla di te, ma ho l’impressione che molti elementi del nostro passato combacino.”

Sapevo che questo momento sarebbe giunto.
Ci siamo spinti troppo oltre e, adesso, sono in dovere anche soltanto di accennarle al mio passato. Non so come fare e preferisco cominci lei, che, devo dire, non si fa pregare a lungo.
Ho persino la netta sensazione che ella voglia liberarsi di un peso molesto.
“Non ho mai conosciuto la mamma,” racconta “perché morì dopo il parto. Sono stata cresciuta da mio nonno, che non si preoccupò mai di farmi incontrare suo genero. Del resto, neanche mio padre si è mai curato di cercarmi. Poi, come nelle migliori favole, un giorno arrivò un telegramma: era il notaio del paesino in cui avevo trascorso la mia infanzia. All’epoca, il nonno mi aveva mandato a Tokyo per frequentare la scuola preparatoria per l’Università S, ma non aveva i soldi per mantenermi ed il futuro si prospettava grigio e triste. ”
Mi accendo una sigaretta e, nel mentre, tiro un poco l’anta della finestra.
“Cosa diceva il telegramma?” chiedo cingendole le spalle.
“Che mio padre era morto” risponde “e mi aveva lasciato un ingente patrimonio.”
La guardo sorpreso:
“Stai scherzando?”
“No,” ribatte la donna “è la verità. E tu hai reagito come mio nonno, che avrebbe preferito ridurre me e se stesso alla fame piuttosto che accettare quei soldi.”
Le chiedo come andò a finire, anche se è prevedivibile:
“Accettai i soldi e tentai l’ammissione – con successo – a Yale e lì trascorsi i quattro anni più belli della mia vita.”
Si mette seduta, in attesa che anche io, finalmente, vuoti il sacco.
Non so da dove cominciare: dovrei sentirmi rincuorato, perché la sua infanzia non è certo stata serena come la mia, ma raccontare il tentato omicidio ai danni di tutta la famiglia perpetuato da mio padre non mi è semplice.
Anche perché, facendo cadere quest’ultimo muro, ella realizzerà che sono un uomo morto e, anche volendo, anche cacciando dalla mia mente Maya Kitajima, non potrò mai regalarle nulla di concreto in futuro.
Decido di cominciare dalla fine, magari sperando che sia lei ad aiutarmi ad andare a ritroso e dare una sorta di razionalità ad un evento che di razionale non ha nulla.
“Mio padre” dico “ha ucciso la sua famiglia.”
E, prima che possa ribattere, aggiungo:
“Me compreso.”
Gli occhi azzurri della donna si sgranano.
In questo momento, sembrano ancora più immensi.
“Sono morto.” sussurro cercando disperatamente di capire cosa le passi per la testa.
La ragazza sorride:
“Andiamo, io non credo ai fantasmi…”
La sua risposta non sdrammatizza per nulla l’atmosfera.
Anzi, mentre pronuncia quella breve frase, il suo tono è quasi mortificato.
Sorrido a mia volta, mentre prendo la sua mano e la appoggio alla mia guancia.
“Non morto in quel senso.” chiarisco con sforzo estremo.
La donna tira un lungo sospiro e si mette in silenziosa attesa.
“Mio padre era un ingegnere di Hokkaido” comincio un poco titubante “e lavorava per un uomo di nome Eysuke Hayami. Era sposato con una donna di origini europee, e con lei, aveva avuto due figli: io e mia sorella minore, Claire. La nostra era una famiglia come tante, con pregi e difetti, ma felice, serena. Ma mio padre, che gli dèi lo perdonino, aveva una vera passione per gli investimenti: un paio di mosse azzardate in Borsa e perse tutto, persino la casa in cui vivevamo. Troppo orgoglioso per accettare l’elemosina del suo capo, che pur voleva aiutarlo, decise di togliersi la vita e, per evitare che mia madre e noi figli fossimo costretti a pagare i suoi debiti, pensò di sterminare anche noi.”

Quando termino il racconto, il filtro della mia sigaretta è ormai completamente arso.
Lo lancio dalla finestra come se cacciassi pensieri molesti.
“Purtroppo,” continuo “riuscì ad ammazzare solo la mamma e Claire. Noi due restammo in vita ed Eysuke, che non aveva mai smesso di offrirci il suo aiuto, propose a mio padre la possibilità di diventare l’<uomo ombra> della sua società. Si sarebbe occupato di dossier segreti e spionaggio industriale. Dopo la sua morte, qualche anno dopo, fui io, ancora giovanissimo, a prenderne il posto.”
Mi passo una mano sulla faccia.
Devo avere l’aria di chi ha appena terminato un’epica impresa e, a ben pensare, forse è stato davvero così.
La donna si stringe a me.
“E‘ davvero un romanzo incredibile.” mormora accarezzandomi il petto “Peccato che si tratti di vita reale e non di un semplice racconto appassionante. Gli adulti, talvolta, sono dei grandi egoisti. Ogni giorno ne ho la dimostrazione.”

Mentre lo dice, penso proprio la medesima cosa.

A man and his love.


Basta!
Gli dico tutto.
Non posso resistere ulteriormente a questo scempio.
Il mondo mi è improvvisamente crollato addosso, quando, consegnando al signor Hayami le foto che ritraggono Maya, ho incrociato il suo sguardo impassibile, quegli occhi azzurri taglienti come le lame di un coltello affilato da poco. Come può restarsene impassibile?
Il cuore mi è scoppiato nel petto.
Dov’è il <vero> Masumi Hayami, l’uomo col vastissimo mare dentro che ho sempre creduto di conoscere più di ogni altro?
E’ sparito dietro le sottane di quella lugubre, malaticcia donna che - si vede lontano un miglio - lo tiene sotto scacco al pari di Eysuke!
Su cosa ha riflettuto mentre si trovava alla casa sulla scogliera?
Che cosa ha creduto di capire stringendo Maya tra le braccia, la notte al tempio?

Niente di niente!
Ed io non me ne resterò impassibile, ad aspettare che ulteriori conferme. Io so bene di chi è innamorata Maya e sono convinto che, se sapesse chi si nasconde dietro il donatore, rivedrebbe diversamente tutta la sua storia passata.
Quando entro nell’ufficio del Presidente, con l’aria vagamente sprezzante e indignata, egli sta fumando placidamente.
Ho lanciato uno sguardo alla sua segretaria, la quale, però, non ha provato a fermarmi.

“Signore,” dico andando direttamente al sodo “sono qui per parlare della ditta M per l’ultima volta in vita mia.”
Noto un movimento impercettibile delle spalle, come se fosse trasalito.
“Ci sono novità rispetto a ieri?” domanda schiarendosi la voce.

La voce!
Quel tono una volta imponente al pari di quello di un’aquila è diventato il mormorio di una tortorella inerme!

“Nessuna novità.” ribatto cercando di controllarmi più che posso “Per fortuna, aggiungerei.”
“Mi pare di leggere nella tua voce l’ormai immancabile nota di rimprovero…” sogghigna il signor Masumi. “Sta cercando un pretesto per litigare, forse?
Allora lo provocherò a dovere.
Voglio proprio constatare fino a che punto parlare di Maya Kitajima e Yuu Sakurakoji gli sia del tutto indifferente.
“Presidente,” inizio avanzando un poco verso di lui “forse ha sottovalutato l’importanza delle fotografie che le ho consegnato. I media…”
“Che cosa potrebbero fare?” mi interrompe “Pubblicità gratuita - il che non è poco in tempo di crisi economica - e fama, molta più fama di quanto pensi.”
Sospiro profondamente:
“Lei sa che una relazione non ufficiale è tutt’altro che foriera di fortuna…per di più quel Sakurakoji ha già una fidanzata, che ha presentato persino in famiglia. Comportandosi così, getterà un’ombra sulla rispettabilità di Maya.”
Masumi ride, ma si capisce subito che la rabbia sta montandogli alla testa.
“Potremmo” sibilo sapendo di ferirlo a morte “costringere il ragazzo a rompere con Mai Aso e fidanzarsi con la signorina Kitajima…”
“Basta!” sbotta com’era prevedibile il signor Hayami pallido in viso “Hai detto abbastanza, hai detto anche troppo. Ti ho già detto di lasciare le cose come stanno!”
Lo prendo per il collo della camicia:
“Mi stia a sentire, le chiedo scusa per questo gesto, ma sono veramente stufo di vederla abulico e rassegnato.”
Si divincola con uno scatto rabbioso.
“E che cosa dovrei fare?” chiede stringendo i pugni “Andare da lei, dichiararle il mio amore e finire le nostre vite nella miseria? Io sto per sposarmi, Hijri. Ed ho accettato di mia volontà questo matrimonio! Shiori Takamiya è una donna incantevole, che saprà consolare il mio spirito a dovere.”
“Allora, non abbiamo più nulla da dirci.” dico inforcando i Ray-ban in un baleno “Qui finisce la nostra collaborazione.”
“Aspetta!” ordina il Presidente perentorio. Mi giro verso di lui, in attesa della domanda epocale che cambierà i nostri destini:
“Perché sei arrivato a questo punto?”
Abbozzo un sorriso rassegnato:
“Sono un uomo innamorato che crede che l’amore vada vissuto fino in fondo e non soltanto sognato.”
“Tu sei un’ombra…” mi ricorda sarcasticamente.
La sua voce trema:
“Come puoi pensare di renderla felice, nella tua condizione?”
“Preferisco trascinarla con me nel mio niente felice, piuttosto che lasciarla a Sakurakoji o a chiunque altro.” rispondo aprendo la porta.
Saeko Mitzuki, nel frattempo, ha rivolto uno sguardo perplesso nella mia direzione.

Continua!…

 
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WARNING! Tenete conto che questi capitoli, sebbene fortemente modificati rispetto alla stesura primaria, sono stati scritti quando ancora non si parlava neppure dell’uscita del numero 43!




Acting until the end.

“Dove si tiene il party?” domando a Mitzuki prima di andarmene.
“Al Queen’s Hotel…” risponde ella spiazzata.
Sbatto la porta nel modo più sgraziato possibile e, a questo punto, penso che la donna non ha più dubbi sul fatto che non mi rivedrà più in quell’ufficio.
Corro come un disperato fino alla stazione di Tokyo, dove so che Maya arriverà tra pochi minuti.

Lo Shinkansen era in ritardo.
Ricordo di aver vagato come un matto, animato tanto da speranza quanto da disillusione.
Cosa mi aveva detto il signor Masumi?

Cosa osavo avergli detto, io???
Ormai, non ero più il suo dipendente ombra.
Quella sera si sarebbe fidanzato con Shiori, chiudendo per sempre la sua liaison con Maya.
Non mi disse con chiarezza che anche il donatore sarebbe scomparso dalla vita della giovane attrice, ma, secondo il mio pensiero, era inevitabile che accadesse. E la ragazza non poteva essere abbandonata a se stessa in un momento tanto delicato.
Avrei preso il suo posto.
Sarei diventato io il donatore di rose.
Anni e anni di servizio presso la famiglia Hayami, uniti al mio modo spartano di condurre la vita, avevano fatto sì che mettessi da parte un patrimonio davvero sostanzioso.
Ne avevo a sufficienza per me e per Maya, anche nel caso in cui, per assurdo, ella avesse patito un capovolgimento di fortuna sul lavoro.
Non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Il mio cuore esplodeva all’idea che la giovane, finalmente, non soltanto avrebbe scisso la mia immagine da quella del donatore, ma le avrebbe addirittura fuse insieme.
Pensavo, a quel tempo, che Maya non fosse a conoscenza della sua identità: ero ingenuo al punto da essere imperdonabile.


Finalmente, il treno si ferma sulla piattaforma designata.
Mi faccio largo tra la folla di pendolari per meglio discernere la figura di lei.
La vedo e mi sembra un miracolo, ché il TAV sembra vomitare centinaia di persone e Maya, così piccola e magra, sembra quasi inghiottita da quell’andirivieni spaventoso.
“Signorina!” chiamo alzando un braccio.
Sono fuori di me.
Appena incrocio il suo sguardo assente, mi accorgi subito che qualcosa non va.
Si muove come un automa: le palpebre semichiuse, le labbra strette, le gambe malferme.
“Che succede?” le chiedo preoccupato “Non sta bene, forse?”
Mi rivolge un sorriso disarmante.
“Lei sa dov’è adesso il signor Hayami?” domanda lasciandomi di sasso.
Annuisco, non pensando per nulla al fatto che la ragazza desideri parlare al Presidente proprio in merito alle rose scarlatte.
“Maya,” mormoro “non è il caso che lei vada. Non credo sarebbe gradita.”
La prendo per un braccio, con goffa delicatezza, cercando di spingerla verso l’uscita. Ma le sue gambe sono già rivolte in direzione della scala mobile che porta alla metro.
“Lasci perdere!” urlo con forza quasi disperata.
Maya si gira stupefatta:
“Signor Hijiri, io devo sapere la verità. Devo conoscere il motivo per cui Masumi Hayami si è occupato di me per anni. Devo sapere se lo ha fatto per amore o per affari.”
Mi crolla il mondo addosso.
“Come lo sa?” chiedo sconcertato.
“So tutto,” si limita a dire senza fermarsi “da molti mesi!”
Mentre la osservo allontanarsi, mi torna in mente la scena del tempio.
Il signor Hayami non ha agito spinto dal senso per gli affari.

Io so, sapevo, che Masumi non nutriva alcun interesse per Shiori e per il suo patrimonio.
Ma non ebbi cuore di dirglielo e fui spaventosamente egoista. volevo offrire a Maya il mio appoggio e, con esso, l’amore immenso che nutrivo in petto.


Maya scompare dalla mia vista senza aspettare replica.

***



Decido di lasciarla da sola, ma, un attimo dopo, corro a prendere la mia auto per raggiungere il Queen’s Hotel.
Passa un’ora abbondante.
Sono già qui, nel grande resort, ma la giovane attrice non arriva.
Forse non ha fatto in tempo a bloccare il signor Masumi in ufficio, ma dubito che, sapendo della cerimonia ufficiale per l’annunzio del matrimonio, ella possa arrivare al punto di esporsi al pubblico ludibrio.
Per lo meno, prego che non sia così.
Un’altra ingenuità da parte mia!
Ritta e composta, nel suo abitino leggero, la vedo entrare nella hall del lussuoso hotel a passo deciso. Nascosto dietro una colonna di marmo bianco, osservo i suoi movimenti col cuore che mi batte all‘impazzata.
Si ferma, adesso, davanti a un cartellone digitale, su cui campeggiano i nomi delle due famiglie che hanno dato il ricevimento.
Percepisco l’esatto momento in cui coglie la verità, ché la vido impallidire come chi è in punto di morte.
Prende un calice di champagne dal vassoio di un cameriere indaffarato e si dirige, facendo forse appello a tutto il suo talento di attrice, verso il centro della sala, dove il Presidente e la prossima sposa, ignari, intrattengono i loro ricchi ospiti.

Fermati, Maya, dove diavolo credi di trovarti?
Non capisci ancora che questo mondo non è il tuo, che non ti vuole, che il tuo peccato non sarebbe mai perdonato se, oggi, aprissi il tuo cuore a chi non lo merita?
Il mio sguardo si sposta su Eysuke, che sta guardando la “ragazzina” con gli occhi di un rapace e, poi, sulla segretaria di Masumi: sembra in apprensione anch’ella.
Maya beve un sorso, poi la preziosa coppa si infrange sul pavimento lucido, come a suggellare il varo di una nave che, per sempre, lascerà la sicurezza di un porto per andare incontro alla tempesta.

Il signor Masumi, che si accorge d’improvviso di lei, diventa paonazzo.
L’<accoglie> dandole, come suo costume, il titolo di “ragazzina”.
Dèi, quanto mi sembra, adesso, odioso quel nomignolo!
Stringo rabbiosamente i pugni.
“Spero” dice il Presidente levando il calice “che tu non sia venuta con l’intenzione di rovinare l’atmosfera della festa. Stasera desidero che siamo amici.”

Non ci avevo fatto caso, sino a quel momento, ma il Presidente sta dando a Maya del <tu>.
Non lo aveva mai fatto prima.
Il pensiero torna alla notte al tempio: mi chiedo non senza angoscia se, dopo la mia dipartita dalla Valle, sia successo qualcosa di “concreto“ fra loro.
“Che dice?” rimbecca Maya punta sul vivo “Non voglio certo metterla in imbarazzo…”
Tiene le dita ripiegate, come se stesse ancora reggendo il calice.
Non si accorge dell’imbarazzo dei camerieri che stanno pulendo con rapidità davanti ai suoi piedi.
Perché si fa del male?
E’ davvero inopportuna, in quel contesto di perfezione.

Il vestito troppo corto, i suoi capelli ordinari, la sua semplicità…tutto cozzava con l’ambiente che la circondava.

“Mi auguro che vorrai presenziare anche alle nozze.” riprende Masumi sarcastico “Per l’occasione ti manderò l’invito ufficiale.”
Che bastardo! Le sta facendo notare che è arrivata al Queen’s senza che nessuno glielo avesse chiesto.
Serro i pugni ancora di più.
Maya non replica, gli occhi fissi sul pavimento tornato pulito.
Segue un siparietto tragicomico in cui, complici alcuni sciocchi commenti degli astanti, Masumi finisce per lodare goffamente la futura sposa, associandone le fattezze a quelle della dèa scarlatta.

Forse il mio ateismo ebbe inizio in quell’istante.
Scaturì da un senso di profondo fastidio, ché un uomo sentimentale quale ero io non poteva pensare che la divinità si coniugasse agli squallidi affari o alla semplice piacevolezza fisica.
L’amore, per come lo intendevo, era qualcosa di indefinibile e chi lo provava era disposto a tutto, persino a morire.
E’ vero che il giovane Hayami era stato messo con le spalle al muro dal padre, ma, come ebbe modo di dimostrarci la vita in seguito, <poteva esistere> una soluzione alternativa.


Spio i volti di Maya e Masumi.
“E soprattutto, spero che, durante il matrimonio, la tua disposizione di spirito sia confacente al contesto gioioso,” conclude il Presidente tirando su il sopracciglio sinistro come è solito fare quando vuol far capire all’interlocutore <chi comanda chi>.
“Sta dicendo” balbetta Maya “che <la Dèa Scarlatta> non sarà mia?”
Masumi si avvicina a lei trascinando con sé Shiori.
“Cosa succede?” chiede alla giovane attrice “sei molto autocritica, questa sera…”
Maya avvampa allontanandosi di un passo e la risata saccente del giovane Hayami riecheggia nella sala.
“Lei non sa ancora con chi ha a che fare.” la odo mormorare col tono inaspettatamente calmo “Darò vita ad una dèa che né lei né la Daito potete nemmeno immaginare.”

Scappa via dalla sala, come fosse stata morsa da una tarantola.
La sua gonnellina leggera svolazza un poco, scoprendo un po’ troppo le gambe sottili: i commenti dei borghesucci non si fanno attendere.

Maleducazione…cattivo gusto…atteggiamento oltraggioso.
Ne dissero d’ogni sorta e lui, il donatore di rose scarlatte, per la prima volta, gettò benzina sul fuoco, immolando sull’altare del dileggio la sua preziosa ragazzina.
“Non c’è paragone con Ayumi Himekawa.” disse vuotando una coppa di champagne “Passi per la <ragazza lupo>, ma Akoya…che interpretazione potrà mai dare una ragazzina come quella?”
E Shiori Takamiya - quella squallida gattamorta - aveva sorriso compiaciuta.
Avrei voluto prenderlo a calci in culo, fulminarlo, scorticarlo fino alle ossa.


Vado dietro a Maya, ma il signor Masumi mi raggiunge per telefono.
“Ho ancora bisogno di te.” dice ansimante “Mi serve la tua collaborazione ora più che mai,”
Lo ascolto stupefatto:
“Non serve, non ho problemi economici e lo sa.”
Ma Masumi Hayami ha il tono odioso dell’uomo che non accetta dinieghi:
“Ascoltami bene, non mi riferisco ai tuoi spiccioli, ma alle conoscenze che non hai. Tu non esisti e nessuno sa chi sei. Non puoi aiutarla concretamente. Maya ha bisogno di essere supportata adesso e anche in futuro, che si prenda o no i diritti di rappresentazione.”

Le rose scarlatte del suo cuore , dunque, erano ancora rigogliose.


“Mio padre” continua “sospetta qualcosa e non sarà certo questo matrimonio a tenerlo a bada.”
Sorrido sarcastico:
“Sta parlando di se stesso, vero? E‘ lei che non può frenarsi! E‘ lei che non sopporta l‘idea di troncare ogni rapporto con Maya Kitajima!”
Inizio ad avvertire dolore.
Mi sento uno stronzo, ché sto infierendo su una persona che ho sempre ritenuto amica e che so soffrire profondamente.
“Fàllo, te ne prego,” mormora “resta alle mie dipendenze e continua ad occuparti della Ditta M come io ti indicherò.”
“E Maya?” domando debolmente.
“Ti ho detto che puoi farne quel che vuoi.” risponde secco.
“Ma, signor Masumi, come può pensare di restare legato a Maya e di vederla vivere una vita di cui lei non è parte attiva? Non la capisco, se io fossi in lei…”
L parole mi muoiono in bocca, ché egli, come suo costume, vuol avere l‘ultima parola:
“Meglio tu che quel ragazzino idiota che la mette in evidenza negativamente davanti ai media. Tu, almeno, non esisti!”
“Che cosa sta tramando?” mormoro sconcertato“Pensa che una relazione con me non la fermerà quando, finalmente, si sarà deciso a metterle le mani addosso?”
Tace per un lungo istante.
“E se anche fosse?”
Che tono di voce ha!
Sta parlando sul serio.
Ma anche io.
“Se Maya si innamorerà di me,” ribatto senza paura “non le consentirò di toccarla neppure con un dito”
Il Presidente ridacchia tristemente.
“Tu sei l’uomo migliore che io conosca. Ed io non potrei mai abusare di una donna che non mi ama, sebbene la desideri follemente e il mio desiderio è destinato a durare per sempre. Ti prego, Hijiri, continua a collaborare con me. Sei l‘unico di cui possa fidarmi e la tua ombra mi impedisce da sempre di essere visto, permettendomi di agire al meglio per il bene di lei.”

In quel momento, ebbi l’impressione di interloquire con lo stesso uomo disperato che, quel giorno ormai lontano, al mare, guardava le onde infrangersi contro lo scoglio scuro. E, pur desiderando confessargli che Maya lo ricambiava, me ne stetti zitto.
Quel che diceva costituiva verità: Masumi Hayami aveva il potere e le conoscenze necessarie per garantire a Maya il meglio.
Fama, successo, nuove scritture, denaro a palate.
Lasciai il Queen’s stancamente.
Il Presidente aveva tirato un evidente sospiro di sollievo, quando gli comunicai che avrei continuato a vegliare su Maya per suo conto.
Ma il mio cuore batteva forte, ché le sue parole avevano riacceso la mia speranza.
Aveva ribadito che non gli importava che la ragazza si innamorasse di me ed io, stavolta, decisi di prenderlo in parola.


Mi fiondo in auto e raggiungo la panetteria Aoyagi.
Cammino lungo il vialetto deserto per svariati minuti, sbirciando in direzione della finestra illuminata.
È sola? O Rei è presente come al solito?
Decido di inviare a Maya un sms per sapere se può ricevermi.
La risposta giunge nel giro di pochi minuti ed io sono accolto con grande entusiasmo nella sua modesta dimora.
Sembra come rinfrancata, rispetto a qualche ora fa, e colgo la palla al balzo.
Mentre ella mi versa del tea, le domando spiegazioni sul modo in cui era venuta a conoscenza della vera identità del donatore.
Mi racconta l’episodio della penna ritrovata al cimitero e di aver, poi, veduto ella stessa il signor Hayami con un fascio di rose scarlatte in mano.
Ma è stata la gaffe del biglietto dopo la prima di Lande Dimenticate ad aprirle definitivamente la mente.

Sospirava come se ogni parola che usciva dalla sua bocca la ferisse. Sembrava che il suo corpo fosse stretto alle estremità di un telaio nel quale l’ago entrava ed usciva causando inevitabili squarci dolorosi.

Le accarezzo la guancia, desideroso di lenire quella pena.
Non posso neppure pensare che Maya sia innamorata del signor Masumi.
<deve> esserci una speranza per me.
La mia grande mano indugia prima sulle gote, poi sul naso sottile, poi sulle labbra umide di lei.
Accetta - cosa incredibile! - senza ritrosia alcuna quella carezza, mentre i suoi occhi chiari, si fondono nei miei senza paura.
“Non potrò mai essere Akoya.” mormora persa dopo un poco “Questo amore disperato mi impedisce di capire ciò che ella prova per Isshin.”
Allontano la mano, che rimane sospesa a mezz’aria per una manciata di secondi.
“Maya,” provo a dire impacciato come non mai “vorrei poterla aiutare a comprendere cosa significhi <amore riamato>…”

Parlavo a mezza voce, tanta era l’emozione che mi assediava.
Poi, quando vidi le lacrime solcarle copiose le guance, l’istinto ebbe il sopravvento. Raccolsi tutto il coraggio che avevo in petto e l’abbracciai.
Sentii le sue piccole braccia cingermi l’addome con disperata rassegnazione. Si stava aggrappando a me medesimo, a Karato Hijiri, non a Masumi Hayami! Voleva dimenticare quell’amore inutile e doloroso!
Maya adagiò le braccia lungo i fianchi: mi faceva agire, restava inerte, come se subisse quel dolce attacco. La spinsi contro la parete di carta, imprigionandole la bocca.
“Baciami, come fossi lui.” mi disse.
Era troppo per me.


“Come fossi lui?” domandai “io non sono Masumi Hayami! Non sono il tuo donatore di rose scarlatte, anche se vorrei esserlo, dannazione…”

Ricordo perfettamente quella orribile sensazione di nudità.
Sedevo sul pavimento, con lo sguardo basso e la certezza di non poter mai essere amato nel modo in cui desideravo esserlo.
Mi sovvenne il ricordo di una dolce, generosa sconosciuta.
Anch’ella era innamorata di un altro uomo, ma mi trasmetteva una dolcezza e un senso di solidarietà che io pretendevo, adesso, da Maya.
Cosa si agitava nella testa della piccola attrice?
C’era qualcosa che io potessi fare per cacciare per sempre Masumi Hayami dalla sua mente e dal suo cuore?
Non avevano mai fatto l’amore, ne ero certo, ma era come se il corpo di Maya fosse marchiato a sangue e quel marchio riproduceva le iniziali del Presidente.
Essi si amavano con disperata ostinazione, ma non erano a conoscenza dei reciproci sentimenti.
Se il signor Masumi fosse stato lì, al posto mio, non avrebbe dubitato per un solo istante.
Mi ritrassi sconvolto, all’udire un persistente bussare.
Pareva venire giù tutto l’edificio e la proprietaria della panetteria se ne lamentò a gran voce.
Poi udii la voce di lui, di Masumi Hayami e, incrociando gli occhi di Maya, capii che ero scomparso per sempre non soltanto dal suo panorama visivo, ma anche dalla sua mente.


Reunion.

Stavolta, butta giù la porta.
Masumi Hayami, pallido in volto, ci sorprende riversi sul pavimento.
Il suo respiro sembra mozzarsi ed io, per un istante, temo di essere ucciso.
Mi prende per una spalla e mi scaraventa contro la parete di carta che, finalmente, dopo aver subito anche i colpi di un amplesso mancato, si spezza in due.
“Signor Hayami,” urla Maya disperata e giustificandosi senza motivo “non è accaduto nulla…”
Masumi sembra sul punto di lanciare contro il muro rotto anche lei:
“Nulla? Mi chiedo cosa manchi a questo nulla per essere <qualcosa>!” ha l’ardire di filosofeggiare con gli occhi iniettati di sangue.
Si rivolge a me minaccioso:
“Vattene, finché puoi, o sarà peggio per te!”
Nel mentre, si è tolto la giacca, buttandola letteralmente addosso a Maya.
“Copriti!” le ordina perentorio “Non riesco a credere che tu sia arrivata a tanto!”
Mi alzo in piedi sconvolto:
“Ma come osa?” dico prendendolo per il collo della camicia “Parla proprio lei, che finirà nel letto di quella befana solo per amore dei soldi e del potere?”
Mi strattona violentemente:
“Non dirlo mai più! Sai benissimo che non è vero! E sai bene anche a chi appartiene il mio cuore!” confessa rosso in viso, mentre Maya, come svuotata, si inginocchia sul pavimento.
La signora Aoyagi entra nell’appartamento.
“Chi siete?” domanda “Andatevene o chiamo subito la polizia!”
“Sono il manager della signorina.” si affrettò a dire Hayami “Io resto.”
Mentre vengo cacciato fuori, la signora Aoyagi, scioccata e furente, mi intima di non farmi più rivedere, giurando a se stessa che, da quel momento in poi, avrebbe vigilato a dovere sulle “visite” per le sue affittuarie.

***



Mi ritrovo solo in strada.
Scoppio in una fragorosa risata.
Cosa diamine mi è successo?
Che razza di incubo ho avuto?
Cammino fino all’auto e, miracolosamente, dopo aver vagato senza meta, parcheggio davanti ad un locale per travestiti, animato dal disperato bisogno di bere.
Nel mio cuore albergano le sensazioni più disparate, ma, soprattutto, domina lo stupore.
Spingo la porta d’ingresso dipinta di rosso, pensando che, in quel momento, Masumi sta riuscendo laddove io ho fallito.

Pensai a quel muro che non si era infranto e alla mia inettitudine.
Pensai all’amore di anime che prevaleva sul mio, così ordinario e inutile.
Una lacrima scese silenziosa lungo la mia guancia sinistra, ma qualcosa mi impedì che si trasformasse in singhiozzo.


“Ciao.” saluta una ragazza occhialuta che si è letteralmente avventata sul posto accanto al mio.
“Ciao.” le rispondo mentre mi scosto un po’ bruscamente.
“Ti offro da bere?” mi invita conciliante, ignorando la mia insofferenza.
Lascio che mi metta in mano un doppio whisky.
“Beviamo ai nostri amori disperati.” dice levando il suo bicchiere.
“E tu che ne sai?” sbotto vuotando il mio.
“Un uomo perbene che viene in un posto come questo, dove l’unico confort è un lavandino gocciolante e un barman impiccione, può essere solo un amante disperato.” dice ella con semplicità.
“Stai zitta, Bella Luna!” sbraita l’uomo del bar girandosi verso di lei “Quest’uomo è troppo in alto per te e, infatti, ha scelto una stella.”

Fu così che tutto ebbe “inizio”. Dal nome di una delle sette Pleiadi.


Ed io pensai che il mondo era davvero monotono se gli amori di cui si perpetuavano le storie avevano sempre gli stessi protagonisti. La mano di chi scrive non si cura neppure di cambiare certi particolari. Ma, forse, è ciò che rende l’uomo minuscolo ed insignificante.

“Io credo di potere realmente innamorarmi di te.” sussurra la donna appoggiando il capo alla mia spalla.
E’ un deja-vu.
Proprio come qualche sera fa, nella sua casa, quando andai a cercarla.
“Ricominciamo da lì?” domanda “Tu mi hai detto di star bene, con me al tuo fianco.”
“Io sono un uomo morto.” rido sovrastandola “E non so neppure il tuo nome…”
Mi fermo interdetto e la guardo negli occhi.
Sento un gran senso di familiarità, in questo momento.
Il barman torna ad intromettersi:
“Mitzuki è un pessimo acquisto, signore. Nessuno di noi sa cosa faccia e non mi stupirebbe se fosse della yakuza…”
Rido di gusto.
La donna del mistero deve aver raccontato anche all’uomo della sua famiglia.
“Bene.” mi dice lei “Tu sei un uomo morto ed io sono una sconosciuta. Te lo ripeto: ripartiamo da qui?”
Scuoto il capo senza troppa convinzione:
“Proviamo…”
Mi tende la mano.
“Piacere di conoscerti.” afferma “Mi chiamo Saeko Mitzuki.”

Continua!…

Domani l'epilogo di questo "episodio di A Scarlet Rose" e una sorpresa supplementare...
 
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Emer Kenobi
view post Posted on 5/8/2010, 18:16




Grandioso Karato!!! magari anche nel manga qualcuno scuotesse così Masumi!!!!
gli ci vorrebbe un vero rivale, altro che il sakurapolpo...

e poi è bello che alla fine venga consolato da Mizuki^^
 
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view post Posted on 6/8/2010, 16:13
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Grazie, Emer!

Epilogue.


Scrivo a Mizuki un sms per comunicarle che non passerò a prenderla.
Allo Shuttle X arriverò con un po’ di anticipo perché debbo sincerarmi che il carico di rose arrivi prima che lo spettacolo abbia inizio. Non posso permettere che Maya vada in scena senza il supporto delle sue sospirate rose scarlatte.
Masumi Hayami mi ha chiesto di inviarne ben 2190.
Più una.
Nessuno sa, a parte io e lui, il perché di una cifra simile che rischia di far esplodere letteralmente il foyer.
Sono sei anni che la ama. E sei anni moltiplicato per 365 giorni fa 2190. Gli anni bisesti non li ha contati neanche. Del resto, uno che vive un giorno come fossero due non va tanto per il sottile.
Ho parcheggiato nei posti riservati ai dirigenti. Mi accorgo, scendendo, che l’auto del signor Masumi è già nel sotterraneo.
Chiudo lo sportello, mentre cerco di non danneggiare il ridicolo bouquet di fiori che ho preso come mio personale regalo per Maya.
Entrando in teatro, ho un moto istintivo di nausea: il profumo intenso di fiori giunge alle mie narici nitido, segno che le rose scarlatte sono arrivate, come previsto, due ore prima dell’inizio dello spettacolo.
E, poi, c’è <lei>, la promessa sposa.
Vado verso i camerini, eludendo la sorveglianza grazie al solito <passi> dei dirigenti della Daito che il Presidente mi ha fatto avere e, finalmente, dopo aver percorso un corridoio lunghissimo, giungo alla porta della stanza di Maya.
Sospiro a lungo, cercando di contenere la mia emozione.
So che è nel pieno dei preparativi e forse non gradirà la mia presenza, ma è più forte il desiderio di chiarirmi con lei.
Non parlo con lei dalla sera dell’irruzione del signor Masumi alla panetteria Aoyagi, mentre con quest’ultimo ho avuto modo di chiarirmi immediatamente dopo quegli eventi.
Tutto è andato per il meglio.
Il Presidente sa che gran parte della colpa di quella situazione era attribuibile a lui solo.

Una voce maschile, che riconosco subito, mi invita ad entrare.
Sembra un po’ contrariato, il signor Masumi, ma non del tutto sorpreso.
“Hijiri,” dice “qual buon vento ti porta?”
“Ho visto la sua futura sposa, nel foyer.” rispondo con aria truce “Non crede sia il caso raggiungerla?”
Il Presidente sfila dal taschino il portasigarette d’argento e mi offre del fumo.
“Almeno stasera” mormora mentre io, senza farmelo ripetere, mi servo “desidero non curarmi di lei e dei suoi nervi.”
Maya è impallidita un poco.
Rimasta in disparte, davanti al grande specchio illuminato, sembra quasi tremare.
Questa situazione di sofferenza non fa bene a nessuno ed io stesso, per quanto Mitzuki sia entrata prepotentemente nella mia vita, continuo a provare pena sincera e rabbia.
“Maya,” dico avvicinandomi a lei “che cosa avete intenzione di fare?”
Vedo un sorriso timido accennarsi sul volto reso ancora più pallido dal cerone di scena.
“Mi affido a Masumi.” afferma sospirando “Farò tutto quello che lui vorrà.”
Scuoto la testa:
“Accetterai, dunque, il suo eventuale matrimonio?”
“Se sarà necessario…” risponde ella decisa, ma non certo felice della prospettiva.
“E’ pazzesco.” sbraito lasciandomi cadere le braccia lungo i fianchi.
Maya si alza dalla poltrona per venire verso di me.
“Non mi importa se sarà sposato, Karato.” afferma “Io non posso rinunciare a lui e, in qualche modo, sapere che mi ama sarà di conforto.”
“Ma tu sai” dico interrompendola “che cosa significa la parola dovere coniugale? O sei troppo ingenua anche solo per provare a capirla?”
Maya si porta le mani alle orecchie:
“Non devo pensarci adesso. Ora ho solo la dèa scarlatta e, dopo, penserò al diritto, alle filosofie di vita e a tutto quel che vorrai sottoporre alla mia attenzione.”
Si ferma all’improvviso: mi prende una mano, guardandomi dritto negli occhi.
“Ascoltami,” dice “la tua opinione è fondamentale per me, ma non posso pensarci adesso. Mi capisci?”
Annuisco.
“Spero almeno” dico di rimando “che durante lo spettacolo qualcun altro abbia il tempo di riflettere su questi avvenimenti.”
Ho parlato riferendomi a Masumi, che, in tutto questo tempo, non ha detto una sola parola.
So che si sente in colpa; so perfettamente che desidera dare a Maya l’onorabilità di cui gode ogni donna sposata; so che stringere anche solo platonicamente Shiori gli procura nausea e sconcerto.
Vorrei che vomitasse fino a domani, se ciò servisse a scuoterlo.
“Ho una posizione da mantenere” si limita a dirmi il Presidente prima che esca dal camerino “e Maya ha bisogno ancora del mio supporto. I Takamiya sono più potenti degli Hayami ed io non potrei mai permettere che le facessero del male per ritorsione nei miei riguardi. Vigila, te ne prego. Ti prometto che, prima o poi, sistemerò tutto. Non importa quanti anni ci vorranno. Foss’anche una vita, io vivrò con Maya.”
Vedo una grande decisione in quegli immensi occhi azzurri.
La rosa scarlatta appuntata al bavero dello smoking mi sorprende piacevolmente, ma Shiori, che vaga qui fuori, non è certo una sciocca ingenua.
Cosa penserà quando vedrà un fiore del genere sulla giacca del suo fidanzato? Lo stesso fiore che campeggia, invadente e straripante come il desiderio di lui, nel foyer?
Bussano alla porta.
“Signor Masumi,” dice Mitzuki entrando piano e lanciandomi uno sguardo significativo “la sua fidanzata la sta cercando ovunque. La prego, vada da lei, adesso…”
Non sta dicendo tutta la verità e capisco che Shiori deve aver dato spettacolo di sé.
“Non possiamo permettere che rovini lo spettacolo dimostrativo di Maya.” dico al Presidente prendendolo per un braccio “Vada a tranquillizzarla!”
Il signor Hayami esce scontento: il suo fastidio è palese.
Mitzuki lo segue per dargli man forte, mentre io resto al fianco di Maya, come un guardiano attento e pronto a tutto.
“Ci siamo.” le dico dandole un buffetto sulla guancia “Non mi sembra vero”
“Prendimi il kimono, per favore.” mi prega Maya additando lo yukata di seta scarlatta, completato dalla sopraveste bianca di sottilissimo tulle.
Obbedisco, liberando l‘abito, con la massima cura, dalla gruccia di legno.
“Aiutami.” dice portando un po’ indietro le braccia.
Sorrido compiaciuto.
“Che ne dici?” domando scherzosamente “Potrei cimentarmi nell’arte della vestizione?”
Maya sorride a sua volta.
“Sei il migliore.” mormora “E, se stasera reciterò bene, sarai tu il primo che abbraccerò dopo lo spettacolo.”
Ripenso alla nostra prima volta mancata.
“Ti amavo così tanto,” sospiro “ma tu non eri stata creata per me. Non potevo toccarti senza provare vergogna o rimorso nei tuoi confronti e verso il Presidente.”
“Ti ringrazio per non aver approfittato della mia debolezza. Sei un uomo meraviglioso.” dice Maya riconoscente. E poi aggiunge:
“Se fossimo arrivati fino in fondo, quella sera, non me lo sarei perdonato per tutta la vita, ma sarei rimasta con te per sempre.”
Osservo i capelli tirati all’indietro con arte.
“Saresti stata una splendida e generosa sposa, ne sono certo,” dico porgendole la parrucca di scena “ma non sarei mai stato felice come adesso. Anche io sono lieto che non sia avvenuto nulla.”
I nostri rapporti, dopo quella parentesi, si sono fatti più confidenziali, ma non c’è imbarazzo né vergogna per ciò che è stato.
Penso con tenerezza a Mitzuki e, con gli occhi di un uomo perfettamente felice e innamorato, contemplo la dèa palesatasi davanti a me come per incanto.
“Sei davvero meravigliosa, Maya...” mormoro rapito.
Maya sorride con gratitudine e, socchiuse le palpebre in modo significativo, mi corregge:
“Io sono Akoya…”
Ha indossato la maschera della dèa, quella che le assomma tutte, così come l’essere divino racchiude in unità il molteplice.

Il sipario sta per alzarsi.



Questa fic nasce come appendice ad A Scarlet Rose, The Shadow’s Heart (ed è per questo che la inserisco assieme a tutti gli altri punti di vista).

Come vi ho scritto più volte, la stesura del racconto appena concluso è stata semplificata dal punto di vista temporale. Avendo sacrificato completamente la dimensione “futura” ed essendomi accorta che questa possedeva comunque una logicità peculiare, ho pensato di raccoglierla in un unicum e di farne una fiction a parte in appendice a The Shadow’s Heart.
E’ un altro mondo parallelo, un finale alternativo alla storia di Hijiri che avete letto fin’ora.

Partendo dal futuro, questa nuova storia svelerà il passato pian piano, attraverso il racconto di vita vissuta di due inaspettati protagonisti.
Ma, vi rassicuro!, ci saranno sempre gli imprescindibili Maya e Masumi!

Anche se la storia è molto amara (ciò che scrivo è specchio del mio esistere emotivo).
Detto questo, buona lettura
!


A Scarlet Rose

- The Possible Future of a Scarlet Shadow -



Ff di Laura Heller S.

Il paesaggio di Nagano è davvero suggestivo, durante la stagione autunnale.
E’ raro che io possa starmene in panciolle fin dal mattino, ma, questo è il mio ultimo giorno di riposo e voglio godermelo tutto.
La riabilitazione si è rivelata laboriosa, complice la mia proverbiale incapacità di star fermo: ciò nonostante, è proseguita senza intoppi ed oggi dovrei lasciare questa casa che è stata teatro di eventi singolari e, fino allo scorso anno, impensabili.
Le mie valigie sono all’ingresso, stracolme dei miei inutili vestiti e pronte per essere stipate nel bagagliaio di una station wagon di colore rosso scuro, una macchina italiana che il signor Hayami mi ha regalato per Natale.
Mi sembra di rivivere il periodo successivo alla morte di mia madre e mia sorella, quando, in ospedale, cercavano di rimettere insieme i pezzi della mia faccia: fu davvero un miracolo di chirurgia plastica, un evento senza precedenti, se si pensa che nei primi anni ottanta la medicina estetica era ancora agli inizi.
Oggi, invece, nel mio petto batte un cuore “nuovo” e, con esso, è arrivata anche la forza di sorriderne: mi sento come una macchina rimessa a nuovo grazie a costosi pezzi di ricambio e, se non fosse per “lei”, potrei anche pensare che la mia identità sia tornata sotterra, come lo Stato e il buonsenso vorrebbero.
Ci sono cose che un uomo come me riesce a fare con maggiore facilità rispetto ad un individuo che vive una vita normale, ma questo non significa che egli sia perfetto, che la sua ombra si allunghi su cose e persone senza malagevolezza.
Inoltre, c’è sempre l’incognita del sentimento, quella possibilità per nulla remota che egli si prenda a cuore l’oggetto che deve salvaguardare.
E, quando teme di non riuscire nel suo intento – la salvaguardia, dico – finisce per buttarsi come un kamikaze nel vortice oscuro che vorrebbe risucchiare la donna che è obbligato a proteggere e alla quale, suo malgrado, ha finito per affezionarsi.
“Affezionarsi” forse è un eufemismo, nel mio caso.
Ma non posso neppure definirlo “amore”, visto che, a dispetto del mio nuovo muscolo cardiaco, sento ancora dentro tutta la ritrosia dei tempi migliori.


Il dottore entra nel salone per annunciarmi che è ora.
Chiede se è il caso sia lui a guidare fino a Tokyo, ma io nego fingendo una energia che, in realtà, non posseggo.
Mi alzo in piedi con disinvoltura, mentre gli dico che sono in perfetta forma, in barba al trapianto e alla gamba offesa.
“Non mi riferivo solo alla situazione fisica.” afferma preoccupato “Per arrivare alla capitale ci vogliono tre ore di viaggio a velocità sostenuta.”
Sorrido, comprendendo perfettamente dove vuole andare a parare:
“Di flashback sconcertanti ne ho a bizzeffe anche stando seduto su una sedia e penso ne avrò per tutta la vita.”
L’uomo sospira.
“Che cosa farà, adesso?” domanda mentre si mette in spalla due enormi borsoni sportivi.
Ci penso su, poi, senza amarezza, mormoro:
“Tornerò nell’ombra, dove è giusto che un uomo morto stia.”
“Signor Hijiri,” soggiunge il dottore “mi auguro che coglierà al volo l’opportunità offertale dal Presidente Hayami.”
Apro la porta d’ingresso senza guardarlo in viso.
“Sono nato e morto due volte.” dico “Non crede sia sufficiente?”
Lo so, sta giudicandomi egoista.
Sta pensando che sarebbe stato meglio che il cuore <nuovo> andasse a qualcuno che ne avrebbe gioito. Io non riesco a farlo, ma quel muscolo che pompa il mio sangue mi appartiene e, per adesso, ho solo la forza di dichiarare che nessuno, a parte me, può ospitarlo degnamente.
Il dottore stipa il bagaglio nel cofano.
“E’ tutto, dunque.” mormora.
“La ringrazio di essersi preso la briga di occuparsi di tutto.” dico indicando con un lieve gesto del capo le valigie.
L’uomo sorride:
“Nella condizione in cui si trova, giuridicamente parlando, non potevo metterle troppa gente intorno. Per non parlare dell’interesse dei media per <la Dèa scarlatta>…E, poi, è sempre così, quando viene a curarsi il Presidente Hayami. Non vuole infermiere, intorno.”
Guardo l’uomo che si è preso cura di me con gratitudine.
“Mi spiace di averla delusa.” dico porgendogli la mano.
“Pensavo” sospira rassegnato “che una persona buona e positiva come lei reagisse in modo diverso a questi eventi. Anche se, mi rendo conto, sono dolorosi e difficili da accettare.”
Nego, mentre penso che i limiti della scienza emergono in tutta la loro drammaticità in circostanze come queste.
Non esistono modi per cancellare i traumi, ma soltanto tecniche per sopravvivervi.
Resto un essere umano, nonostante tutto.
E stavo avendo una parvenza di vita grazie a una donna che aveva con fatica sanato le mie ferite.
Ed ora, pur ospitandola qui, nel mio petto, non riesco a non pensare che non rivedrò mai più quei suoi meravigliosi occhi azzurri.


Giungo al mio “nuovo” alloggio intorno alle due del pomeriggio.
Chiamo al telefono il dottore per rassicurarlo.
Questo posto in cui vivrò, da adesso in poi, non è mio: è stato di qualcun altro, prima di me ed ogni cosa, persino la disposizione della mobilia, me lo ricorda.

Potrei dire di sentirmi vuoto, ma non mi sento vuoto.
Potrei dire di sentirmi bene, ma non sto bene.
Vorrei poter restare solo con la mia solitudine, ma non posso.

I dirigenti della Daito attendono - accomunati da un unico intento - di conferire con me.
Faranno pressione sulle responsabilità che dovrei assumere ed io, al solo pensiero, sto male.
Sono abituato ad essere un’ombra e la cosa che mi piaceva di più della mia vita passata era proprio la mancanza di impegni personali, l’esistere semplicemente in funzione di un incarico: raggiunto lo scopo, potevo staccare la spina e ricominciare da capo il mattino seguente.
Senza stress, senza costrizioni.

Il cuore che mi batte nel petto, invece - il cuore che mi è più caro al mondo - mi impone adesso di dar retta a questi vecchi, ad uno in particolare, che rischia di finire nella tomba senza aver assicurato un futuro al suo regno.
“Karato,” mi dice Chioichiro quella sera “dobbiamo parlare.”
Gin è tornato dall’estero, prontamente richiamato dal Presidente, per convincermi ad accettare la sua proposta.
“Non abbiamo nulla da dirci.” gli rispondo perentorio.
Odio che si faccia leva sull’amicizia per ottenere un rendiconto.
L’amicizia, come l’amore, sono sacri e questo l’ho imparato proprio stando accanto a Masumi Hayami.
“Il Presidente è malato” riprende il mio vecchio amico “ed io credo che solo tu, allo stato attuale, possa prendere le redini della Daito.”
Lo guardo con disprezzo:
“Soltanto io? Mi pare che qualcun altro sia stato al timone della società per quasi un decennio portandola ai vertici del mercato.”
“Sì,” annuisce Chioichiro “ma tu sei al corrente di ogni transazione, essendone stato l’ombra e sei la persona più degna per subentrargli.”
“Lasciami in pace.” mormoro “Il signor Masumi è vivo e, grazie al cielo, anche la donna che ha scelto. Basterebbe che il Presidente, per una volta, non facesse prevalere la sua volontà di potenza.”
L’uomo si accende una sigaretta, ridacchiando piano: ha capito perfettamente quel che intendevo.
E, del resto, per anni, siamo stati inseparabili, io, Chioichiro e Masumi, solidali persino nello scegliere le filosofie occidentali più vicine alla nostra indole.

Ed eccolo lì, <il vecchio>.

Abbandonato da tutti, la sua unica compagnia sono una sedia a rotelle, la rabbia inestinguibile, dei ricordi malconci e corrotti.
Si credeva una fortezza inattaccabile.
Dispensava ordini a chiunque: non importava se si trattasse di un garzone o di un superdirigente.
Manipolava destini senza curarsi dei sentimenti che ogni uomo ha dentro, cose che possiede per corredo, al pari delle ossa e del sangue.
Un uomo non è un pezzo degli scacchi.
E adesso che qualcuno ha trovato la forza di lasciare questo campo di battaglia, dove molte persone hanno sprecato la loro vita, chiede - a me! - in nome di questo cuore e di tutto quel che ha fatto a mio beneficio nel corso degli anni, di essergli al fianco.
Pensavo fosse una disperata reazione, ma comincio a credere che sia l’inestirpabile orgoglio a muoverlo.
Basterebbe che abbassasse la testa per una volta.
Basterebbe fare una telefonata, dire che si è sbagliato.
Riotterrebbe un futuro per la sua azienda, metterebbe le mani anche sul suo “sogno” di sempre.
Ma non lo farà, piuttosto preferisce bruciare all’inferno.
“Tu hai le tue ragioni.” riprende Gin “E anche a me la situazione dispiace perché Masumi è mio amico fraterno da venticinque anni. Tuttavia, la situazione è cambiata. Adesso…”
Indica il mio petto.
“No!” urlo “Non vi permetterò di usare questa escamotage! Il Presidente ha già un figlio. Faccia ricorso a lui o lasci la Daito andare incontro al fallimento!”
Le mani iniziano a tremarmi in modo vistoso. Sento un gran calore salirmi in capo.
Vecchio egoista!
Ha mentito a tutti ed ora, in virtù di ciò che ha ottenuto usando violenza, pretende di comandare a bacchetta.
Non c’è perdono.
Se Masumi stesso non può perdonarlo, come posso farlo io?
Anche se “lei”, quell’angelo senza ali che mi salvò la vita mi ispira pietà, tenerezza e perdono, non riesco a dimenticare.
Chioichiro sospira.
“Vai a riposare, Karato.” dice mettendomi una mano sulla spalla “E, se non ti duole troppo quel cuore che hai in petto, pensa a quanto ti ho detto. La società dà lavoro a un migliaio di famiglie e nessuno meglio di te può sapere cosa significhi per un padre non avere la possibilità si sfamare i propri figli.”


Continua lunedì!


 
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tais
view post Posted on 5/9/2010, 17:03




Caspiterina Laura ho letto e riletto la tua fanfic non so quante volte e la adoro!!!Il punto di vista di Masumi , i suoi pensieri lasciati a briglia sciolta il suo essere così innamorato, passionale ma tanto bastard-inside mi hanno fatto sbavareeeeee. :wowhot: image
E anche gli altri pdv non sono da meno quello di Mizuki è proprio acuto e insinuante come è lei nel manga, che anche se non se lo fila intanto se lo guarda e rimira a torso nudo il bel Masumi. :nani: image
E quello di Hijro? Favoloso.
Aspetto di leggere il seguito.Primageestoooo :scruto:
 
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choppygiu
view post Posted on 16/9/2010, 01:24




questa si che è una f.f. da brividi complimenti. :sorrisone: sei bravissima
 
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view post Posted on 16/9/2010, 13:10
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Grazie, ragazze, le vostre parole mi ripagano di tante amarezze. Un abbraccio a tutte voi. Per ora, A Scarlet Rose resta in sospeso, ché sto occupandomi di "Bad!". Da oggi torna on line.
 
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view post Posted on 31/12/2013, 17:12
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Cari amici, ho deciso di riprendere la stesura di A Scarlet Rose, partendo dalla storia d'amore più grande che sia mai stata raccontata, quella di Akoya ed Isshin. Vi confesso di aver ripreso la lettura dei volumi 39 e 40 per farmi una idea precisa della storia, ma, in tutta onestà, non ho seguito- come mio solito, del resto! :lol: - l'indirizzo miuchiano. Motivo per cui sono andata avanti da sola, prendendo solo qualche spunto.
Spero che sia di vostro gradimento e, anche se non dovesse esserlo, grazie di essere comunque passati a sbirciare.
Tanti auguri di buon anno! ;)

A Scarlet Rose

L'amore della dèa



Capitolo Primo

“Albeggia.”
Questo pensiero attraversò la mente di Isshin, mentre, ancora incerto, si levò leggermente dal suo giaciglio ad osservare il blu ancora intenso e non baciato dal sole della volta celeste.
Nuvole fosche, in lontananza, indicavano che quella era stata una notte di tempesta.
Lo scultore sacro aveva a stento preso sonno. Aveva patito gli spifferi freddi che penetravano attraverso le porte scorrevoli non perfettamente aderenti al pavimento.
Gettò uno sguardo su alcuni ceppi di ciliegio, posti a ridosso della parete spoglia alla sua destra.
“Anche il lavoro, come la mia vita, è a un bivio.”
Il capo villaggio gli aveva affidato una impresa quasi ardua: costruire il portale in legno del nuovo tempio shintoista. Isshin era un uomo di grande levatura morale, conosciuto anche al di fuori della sua comunità religiosa, ma la sua fede, per quanto all’apparenza incrollabile, era ancora piuttosto incardinata sul dubbio.
Che forma avevano gli dèi? E, se non ne avevano una, di che cosa erano fatti? Provavano amore per le creature o le avevano poste sulla terra senza fine alcuno, destinandole anche all’autodistruzione? Essendo d’indole buona, il giovane scultore provava quasi orrore per quanto non riusciva a spiegarsi: la guerra, da lui ritenuta un abominio, era una costante della storia dell’umanità; troppo frequentemente l’innocenza dei fanciulli era violata; gli oltraggi ai deboli da parte di chi esercitava il potere costituivano legge infame.
La pena di morte, poi, era il culmine delle nefandezze.
Cosa avrebbe dovuto scolpire, su quel portale? Isshin, proprio, non sapeva donde iniziare il suo lavoro.
Il suo capomastro, un uomo di circa sessant’anni, entrò nella sua cameretta con passo felpato.
“Sensei…” disse il giovane levandosi “Buongiorno…”
E si chinò in segno di rispetto.
“E’ un grande giorno, per te.” Fece l’altro sorridendo e mostrando con naturalezza la bocca sdentata.
“Già…” masticò l’allievo poco convinto.
Strinse con vigore il suo obi alla vita:
“Che debbo fare? Io…non ho idea di cosa scolpire. E’ come se, tutt’intorno, vi fosse solo menzogna…inganno…”
Vide che il maestro arcuava le labbra, gli occhi stretti di chi conosce da più tempo la disillusione e l’angoscia che da essa deriva.
“Se l’uomo vive nell’inganno, l’inganno sarà rappresentato. Se vive nel sogno, narrerai <il tuo> sogno.” Disse con bonaria ironia.
“Ma dov’è la verità?” chiese con impeto Isshin.
“Pensi che, a questo mondo, ci sia qualcuno che conosca l’aspetto della verità? O i fini degli dèi?” domandò serio il suo interlocutore.
Dal suo volto era scomparsa ogni traccia di ilarità: era, ora, preoccupato che quell’intoppo esistenziale potesse nuocere al lavoro e al futuro del suo allievo prediletto.
“Ed è questo il punto.” Sottoscrisse il giovane “Come si può credere in qualcosa che non si vede? E perché esiste l’ingiustizia? Dove vivono gli dèi non si conosce il dolore, mentre il mondo ne è pieno…”
“Le dichiarazioni che fai odorano di empietà, figlio mio.” Affermò con rammarico il maestro “Ed è triste che, proprio oggi, esse ti tentino al punto da bloccare la tua attività.”
Isshin terminò davanti a lui la sua vestizione, quindi prese a preparare la sua bisaccia.
“Ti prego di andare avanti, quest’oggi.” Disse convinto, ma senza guardarlo in faccia “Di’ al monaco shintoista che farò tardi.”
“Che intendi dire, ragazzo?” chiese allora concitatamente l’anziano “Non puoi tardare! Si dirà che non hai a cuore ciò per cui sei stato chiamato! È un grande onore per te che sei buddhista! Chiamato addirittura dal tempio shintoista a scolpire il portale del nuovo edificio sacro!…e tu fai torto a chi ha riposto in te la sua fiducia!”
“E’ proprio per non farmi beffe di essi che devo andare via, ritrovare la mia ispirazione.” Dichiarò Isshin chiudendo con uno scatto deciso la borsa coi suoi attrezzi “Debbo cercare un senso – anche uno soltanto! – a ciò che non mi spiego.”
“E pensi davvero di poterlo trovare, stolto?!”
La mano del maestro, rugosa e tremante, si poggiò sul suo avambraccio.
“Ci sono centinaia di cose <sbagliate> a questo mondo!” proseguì “Di cui persone umili come siamo io e te non potranno mai trovar spiegazione!”
“Umiltà, dunque, significa accettare spiegazioni sciocche e banali?” fece Isshin con rabbia “Sono diventato buddhista perché sono stato accolto, dopo la morte dei miei genitori, da una comunità buddhista. In altre parti del mondo, poi, esistono persone che non credono affatto in Buddha né lo conoscono anche solo per nomina!... Quale dio ha ragione? E quale ha torto? Chi conduce alla salvezza?! Cosa significa questo, mio Maestro?”
“Significa che sei un blasfemo e che non hai nessun diritto di stare in questa comunità!” urlò l’anziano percuotendolo violentemente sulla spalla col suo nodoso bastone “Sei stato accolto come un figlio e questo è il tuo grazie! Sarai maledetto dagli uomini, rejetto!”
Il giovane scultore sorrise mestamente:
“Forse, la maledizione degli uomini mi varrà la benedizione di un dio, in qualunque modo egli si chiami.”

***


Passarono diversi giorni.
Nel piccolo villaggio nessuno più ebbe notizie dell’uomo che, per viltà o altro, aveva rifiutato di scolpire il portale del tempio shintoista.
Isshin vagava per i boschi senza troppa convinzione, rimuginando tra sé e sé riguardo a ciò che, per tutta la vita, gli era stato insegnato in merito agli dei e al culto. Cose che, di minuto in minuto, assumevano un significato relativo.
Le sue certezze di ventenne erano definitivamente scosse davanti alla vita. Si sedette sotto un albero a contemplare una statuetta votiva grande non più di due palmi e sorrise con amaro rispetto.
Incrociate le gambe, tirò fuori gli arnesi del mestiere e iniziò a scolpire.
“Sembra che stia flagellando questo povero ceppo…” masticò tra sé.
“Che stai facendo qui?” gli urlarono alle spalle pochi istanti dopo “Sei un monaco? …una spia?”
Isshin tirò indietro il lungo ciuffo scuro, rivelando iridi azzurre penetranti.
“Sei uno straniero…” proseguì l’uomo che lo aveva quasi aggredito “Che cosa vuoi? Ti è proibito procedere per questo bosco.”
“E’ tuo, il bosco?” chiese allora lo scultore riprendendo a modellare il legno.
Lo stupore dell’altro montò alle stelle:
“Non hai paura? Bada che sono armato! Ti ho già detto che non puoi stare qui. Il bosco non apparterrà a me, ma neppure a te.”
“Non intendo disturbare nessuno.” Replicò Isshin serio, una calma glaciale nel tono di voce caldo “Sbagli, se pensi che voglia attaccar briga. Sono rejetto dal mio villaggio: se uno dei miei…concittadini mi trova, ha il permesso di uccidermi. Se intendessi farmi ammazzare da qualcuno, non farei tanta strada.”
L’uomo sedette di fianco a lui:
“Sei un ladro, allora. Capisco la tua situazione. Io sono il capo di un gruppo di briganti: siamo famosi, nelle valli intorno a Nara. Razziamo nelle case dei ricchi samurai, che il demonio se li porti via…Credono d’essere i padroni del mondo.”
“Nara?” ripeté Isshin come folgorato “Non posso credere di avere fatto tanta strada…”
“Da dove vieni, ragazzo? Sei curioso. Solitamente, quando mi si incontra, i pusillanimi fuggono a gambe levate, ma tu hai retto il mio sguardo sin dal primo istante. Ciò è degno di stima.”
“Sbagli.” Quasi troncò lo scultore “Non ti ho mai fissato. Se l’avessi fatto, probabilmente sarei fuggito anche io…”
Udì il brigante sospirare:
“Di certo, sei un artigiano. In due minuti, hai realizzato qualcosa di incredibile.”
Chiese al giovane di passargli il ceppo abbozzato, cosa che Isshin fece, seppur con riluttanza.
Maki – così si chiamava il brigante – girò tra le mani l’oggetto come fosse ispirato, un tenue sorriso sulle labbra.
“Sei un artigiano, sì.” Ribadì “Ma anche un monaco o qualcosa. C’è un’anima, dentro questa statuetta. Ispira benevolenza.”
“Dici?” chiese il ragazzo non troppo convinto “Devo simulare piuttosto bene ciò che non sento…”
Maki gli rese la scultura:
“Simulano gli attori e tu non mi sembri un attore. Che cosa ti porta a vagabondare?”
“Il non senso.” Replicò serissimo Isshin “Per tutta la vita ho creduto di dover agire in virtù della fede che mi sosteneva. Poi, un giorno, mi sono scontrato con l’amara realtà ed eccomi qui, privo di certezze.”
“Se non credi negli dèi, perché scolpirli?” chiese il brigante interessatissimo.
L’altro lo fissò dall’alto in basso: indossava un buffo panciotto che gli tratteneva a stento la pancia enorme: i suoi baffoni erano rivolti all’insù, come da moda dell’epoca. Gli occhi piccoli trasudavano sincerità e una certa allegria anche.
“Non so fare altro.” Disse lo scultore sacro “E vado in cerca di ciò che io stesso ho rinnegato.”
“Sai come si dice in giro?” rise Maki “Gli uomini creano gli dèi quando non sanno spiegarsi la morte.”
Si abbassò un poco fino a lambire l’orecchio di Isshin, che, però, non si mosse di un millimetro.
“Vedi…” fece sottovoce il brigante “Io ci penso spesso, alla morte. Quando vado in battaglia, insieme ai miei compagni, la sento prossima. Mi ammicca sorniona: prima o poi, si prenderà anche me. Io sono già abbastanza vecchio, del resto…Penso che, se davvero esiste un <altrove>, non è così male. Cioè, tu muori e, poi, ti reincarni…Non si dice così?”
“Non chiederlo a me!” esclamò lo scultore “Ti ho appena detto che non credo in niente…”
Maki lo sgomitò:
“Neppure io ci credo. Non credo in quello che raccontano i monaci, ma, come c’è una morte, so che ci sono anche degli dèi, in giro. La natura è così grande e la morte è parte della vita: un animale morto è fonte di sostentamento.”
“Se vuoi metterla in termini così semplicistici, fa’ pure.” Disse Isshin incupito.
Gettò il ceppo ai piedi della statuetta votiva con uno scatto rabbioso:
“E’ legno, dannazione. Arriva l’acqua e lo fa marcire! Arriva il fuoco e lo arde. Senza lasciarne traccia! Come può una cosa del genere arrivare al cuore degli dèi? Come impetrare una grazia? Perché un dio o una dèa dovrebbero curarsi dell’uomo? Tu, Maki, con tutto il rispetto, sei la dimostrazione che essi non hanno pena per il destino degli uomini! Parlo di te, ma dovrei citare me medesimo: prima orfano, poi rejetto! E mi intrattengo con un brigante perché nessun altro uomo mi vuole tra i piedi…!”
Maki annuì stringendo le labbra:
“Come ti ho detto, neppure io posseggo risposte. Mi sono solo stupito del tuo coraggio e, in seconda istanza, della bellezza del tuo lavoro. Passa pure per il bosco, se può servirti. Dirò ai compagni di non toccarti, uomo che non possiede la verità…”
Isshin ridacchiò.
“Già.” Sottoscrisse “Sono una contraddizione vivente visto che il mio nome è <una verità>.”
“Isshin?” ripeté l’uomo “E’ davvero così che ti chiami?”
Il ragazzo annuì.
“Voglio chiederti un’ultima cosa.” Disse Maki sorridendo “Quella statuetta che hai gettato…vorrei proprio tenerla. Quando morirò, mi piacerebbe fosse arsa insieme a me.”
“Prendila pure.” Replicò Isshin nervoso “L’ho gettata, in fondo. Non mi importa del suo fato. Stai bene, amico.”
E si allontanò.

CONTINUA!...

 
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view post Posted on 2/1/2014, 14:57
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Capitolo secondo

Capitolo secondo



Il brigante aveva parlato di Nara.
Isshin non riusciva ancora a crederci.
Aveva visto quella terra incantata quando era un bambino, poco prima che i suoi genitori venissero a mancare tragicamente nel conflitto tra due clan rivali.
Era un posto incantato, almeno per come se lo ricordava: circondato da montagne alte duemila metri, il piccolo villaggio pareva uno scrigno prezioso. Il verde degli alberi ad alto fusto si confondeva col marrone e con le trasparenze dei numerosi corsi d’acqua che cingevano l’abitato. Ma c’era un luogo, quasi un sogno ad occhi aperti, che catturava sopra ogni altro i pensieri del giovane uomo.
Sorrideva, mentre camminava di buona lena, al ricordo di una vallata posta un po’ più sotto rispetto al villaggio, un luogo protetto da strapiombi spaventosi, cui era possibile accedere attraverso un ponte di funi piuttosto malmesso. Era l’unica via per arrivare ad un tempio all’interno del quale si venerava una divinità femminile.
Non se ne rammentò il nome, ma la cosa non gli parve grave né preoccupante.
In un baleno, come fosse guidato da una forza misteriosa, si trovò prossimo al ponte dei suoi ricordi: le vertigini, guardando dabbasso, lo assalirono, ma fu subito distratto da un tintinnio delicato.
“Campanelli?” fece tra sé girandosi a destra e a sinistra.
La nebbia, resa scarlatta dagli alberi di susino che svettavano in ogni dove, rendeva ogni tanto visibile il vuoto sotto i suoi piedi.
Isshin non avvertiva né caldo né freddo: la paura di camminare col nulla sotto di lui si confondeva con l’euforia di ritrovarsi nei luoghi dell’infanzia.
Sentì crocchiare le funi quando i lunghi piedi presero a percorrere il ponte.
“Non è proprio come quando ero fanciullo…” sorrise “All’epoca, pesavo molto meno.”
Di nuovo suono di campanelli.
Il passo si fece più lesto, mentre le mani afferravano due rientranze di corda: ma un insieme di cause fisiche e misteriose insieme fecero sì che, quando si trovasse nel mezzo del ponte, una parte di esso cedesse, facendolo precipitare verso il basso.
“Dèi!” imprecò Isshin aggrappandosi all’unica corda rimasta intatta.
Penzolava nel buio, spaventosamente.
“E’ la fine…!” pensò tra sé, mentre l’angoscia lo stringeva sempre di più.
Il fiato già mancava a causa del panico galoppante.
La mano, pur ferma, iniziava a dare segni di stanchezza. Nello sfregamento causato dalla caduta, la sinistra si era ferita e delle gocce sottili di sangue cadevano ora sul viso dello scultore.
Allo scultore parve di bere il suo stesso sangue: era amaro e si mesceva a lacrime disperate.
Prima di precipitare nel vuoto, gli sovvenne il viso scolpito di una divinità femminile e fu inondato da un senso di pace.

***


“Forse, è così, quando si muore.”
Isshin vide se stesso su un giaciglio paglia profumata. Si contemplava <dall’alto>, come se il suo spirito fosse già sopra le spoglie mortali.
Ma non poteva essere davvero la morte.
Questo perché, man mano che la coscienza di sé tornava, anche i dolori alle ossa e alla testa diventavano <presenti>, pulsanti.
Provò a muoversi, ma non poté.
Cacciò quindi un urlo angosciato, nella speranza, forse, di essere udito da qualcuno. La stanza era deserta: si udiva il ticchettio della pioggia, all’esterno.
Nessun segno di umanità. Come avrebbe fatto ad alzarsi? Chi lo avrebbe curato? Chi lo aveva soccorso, evidentemente, lo aveva abbandonato in quel luogo.
Era un vecchio tempio: il legno delle pareti, marcio in più punti, odorava di muffa e di vecchio. Le pareti di carta di riso erano macchiate e la stufa a legna spenta.
Il suono dei campanelli lo destò dal suo torpore.
“Ma che diavolo è?” fece infastidito.
La porta scorrevole si aprì quasi di scatto, rivelando una figurina di giovane donna.
“Perdonami!” esclamò ella sollecita “Non avrai avuto paura, spero! Ero uscita a raccogliere delle radici per prepararti un infuso.”
“Radici…” ripeté Isshin “Ma chi sei? Dove…dove mi trovo?”
“Sei a casa mia.” Rispose la ragazza “Adesso accendo il fuoco. A Nara si passa repentinamente dal caldo al freddo, quando arriva l’inverno…Il temporale che è in corso segna l’addio alla luce estiva.”
Lo scultore sospirò:
“Nara?...E dove diamine è Nara?...io…non ricordo niente…”
“Imprecare non ti aiuterà.” Disse l’altra con tono serio “E’ già la seconda volta che lo fai. Sappi che è una cosa che non gradisco.”
“Scusami.” Mugugnò Isshin “Ma che pretendi? Sto dicendoti che non so neppure chi sono…”
“Sei vivo per miracolo.” Spiegò allora la ragazza “Sei fortunato ad aver perduto solo la memoria. Non ti sei rotto alcun osso. Alcuni alberi di susino hanno frenato la tua…corsa nel vuoto.”
“Sono caduto in un dirupo, è così?” chiese allora lo scultore.
“Più o meno…Ti trovavi su un ponte piuttosto marcio. È crollato a causa del tuo peso…”
Ella, nel mentre, aveva attizzato il fuoco e messo su un pentolino di coccio alcune foglie.
“Che intruglio vuoi darmi?” domandò di nuovo il ragazzo. Ma non ebbe risposta.
Isshin contemplò la figura snella che gli prestava soccorso:
“Sei molto giovane.” Disse “Sei certa di sapere come soccorrere un disgraziato?”
“E siamo a tre.” Si risentì la sua salvatrice “Non riesci proprio ad evitare di imprecare? Se non ne sei capace, almeno, morditi la lingua!”
“Akoya!” urlò una voce femminile, anziana, dal cortile “Vieni fuori, Akoya!”
La ragazza arrossì, quindi, scusatasi con Isshin, uscì fuori per andare incontro alla nuova venuta.
Isshin udì nitidamente ogni parola.
“Ti avevo detto di non prestare soccorso al forestiero! Può recare disgrazie! Il nostro villaggio non conosce la legge dell’ospitalità, dopo che, due secoli fa, un visitatore si rivelò essere il messaggero del maligno! È la prima cosa che insegnano a Nara!”
“Ma io non sono di Nara.” aveva replicato con dolce tranquillità Akoya “Nonnina, qualunque cosa tu dica, io farò ciò che devo. A che serve essere capaci di guarire, se mi è vietato?”
“Il capo villaggio è molto risentito con te! Che gli dirò, quando farò ritorno a casa senza di te?”
“Dirai la verità.” Era stata la risposta della fanciulla “Sai bene che mentire non è nella mia indole.”
“Si dirà anche che sei diventata sfrontata!” aveva sbottato la nonna “Tutta sola, nel tempio, con quel ragazzino!”
“Non abuserà di me.” Sorrise Akoya, facendo un passo indietro.
“Sì, sei proprio una sfrontata!” rincarò l’anziana “Ed io non posso farci nulla. Fa’ come ritieni, ma sappi che la disobbedienza agli anziani è un peccato, agli occhi degli dèi.”
“Lo è anche abbandonare i bisognosi.” Mormorò Akoya abbracciando la sua parente con infantile trasporto.
Isshin udì passi pesanti allontanarsi e, subito dopo, la giovane fu da lui.
“Devi tornare al villaggio.” Disse “Non voglio che la tua reputazione sia messa a repentaglio a causa mia.”
Akoya lo fissò stupita:
“Finalmente, una espressione di sincera preoccupazione. Ma non dubitavo che ne fossi capace…”
“Non so di che parli.” Arrossì lo scultore sacro “Ho solo udito la vecchia: urlava ed era impossibile non carpire ogni singola parola del vostro conversare.”
La ragazza non gli diede retta e tornò ad occuparsi del suo infuso.
Isshin osservò le curve delicate evidenziate dall’obi scarlatto che le stringeva delicatamente il kimono alla vita. Pur essendo un semplice vestire, trasudava un che di regale, come se quella stoffa fosse particolarmente pregiata.
I capelli, nerissimi e lucenti, avevano le stesse sfumature della cinta.
“Non avevo mai visto un colore simile.” Disse vago “Non addosso ad una persona, per lo meno. Come fai ad avere una stoffa dello stesso colore della chioma degli alberi di susino, Akoya?”
Ella gli porse la scodella:
“Bevi, ora. È un infuso di radice di ginseng e di foglie di quercia: il ginseng ti darà energia, mentre la quercia è un rigenerante, oltre che un anestetico naturale.”
“Parli come un dottore.” Ridacchiò Isshin “O sei la figlia di uno speziale?...”
“Dovresti preoccuparti di ricordare il tuo passato, piuttosto che fare domande a me.” Replicò fintamente piccata Akoya.
Si inginocchiò davanti a lui, facendo cenno con la mano di bere in fretta.

***


“E’ strano.” Pensava Isshin mentre, al braccio di Akoya, incedeva nella stanza per dirigersi all’uscita del tempietto “Dovrei essere disperato: qualunque uomo lo sarebbe. Privo del passato. Privo di un punto di riferimento certo.”
“A che stai pensando?” lo distolse la ragazza.
“Da quanti giorni sono qui?” chiese allora lo scultore provando a camminare con le sue gambe. Ma un capogiro lo costrinse ad aggrapparsi di nuovo a lei.
“Sei salda come una roccia, nonostante il fisico esile…Come fai?”
“Non riesci a fare una domanda per volta?” domandò simpaticamente Akoya.
“E’ che mi incuriosisci.” Rispose franco il giovane “Credi che la curiosità sia una mia dote, anche se non ne ho ricordo alcuno.”
“Sei qui da tre giorni.” Spiegò allora l’altra “E sono forte perché gli dèi – siano essi benedetti! – mi hanno reso tale.”
“Gli dèi, se esistono, ti hanno fatto un sacco di doni, oltre alla salute.” Disse Isshin, ma subito si pentì del suo dire ed Akoya, come se gli leggesse nel pensiero, non ebbe ancora a redarguirlo per la sua empietà.
“Sei un’anima in ricerca, è così?” chiese quest’ultima scrutandolo nei profondi occhi azzurri.
“E chi lo sa?” fece di rimando lo scultore “Come sai, non rammento nulla. Forse, sono un assassino o un falsario. A giudicare dai vestiti che indosso, non appartengo a famiglia nobile.”
“C’era una cosa, vicino a te, quando ti ho trovato.” Mormorò quasi riluttante Akoya.
Isshin la fissò interrogativo mentre ella, fattolo sedere su una panchetta di legno, si volgeva indietro, all’interno della casa, per andare a recuperare una scatola di pelle chiusa da una fibbia dorata.
“Credo ti appartengano.” Disse porgendogliela.
Il giovane, senza replicare, prese ad armeggiare con la chiusura. Uno scatto e dieci scalpelli da scultore si presentarono alla sua vista: ogni lama era lucidissima. L’impugnatura di ognuno era di legno pregiato, lucido anch’esso nelle parti non destinate ad essere impugnate.
“Se questa roba è tua, di certo non sei un indigente.” Sorrise Akoya.
“O, forse, sono solo un ladro.” Replicò amaro il ragazzo.
“C’è un solo modo per scoprire se gli scalpelli ti appartengono.” Disse allora la sua giovane interlocutrice.
C’era una catasta di legna, poco distante da loro ed Isshin intuì immediatamente il suo pensiero. Tuttavia, se la memoria non lo aiutava, lo stesso non poteva dirsi dell’istinto dell’artista:
“Non si può scolpire legna da ardere.”
Akoya arcuò le labbra.
“Te ne intendi, a quanto pare…” motteggiò.
Isshin appoggiò il mento al palmo della sua mano sinistra, che bruciava ancora un poco a causa dello sfregamento della corda.
“Se anche me ne intendessi, non cambierebbe nulla.” Fu il pessimistico commento mentre scambiava una rapida occhiata con la giovane.
L’aveva sentita <inquieta>, mentre gli porgeva la scatola di pelle ed ora era lui medesimo a provare una sorta di riluttanza: non riusciva a capire cosa potesse significare.
“Sai che, da quando viviamo qui dentro, ho come l’impressione di capire che cosa ti passa per la testa?” chiese a bruciapelo quand’ella ebbe preso posto di fianco a lui.
La bocca di Akoya, allora, si aprì ad un sorriso così splendente da fargli battere il cuore.
“Ne sono lieta.” Fece “Vedi, è così che gli uomini dovrebbero vivere. Occorrerebbe smettere di fronteggiarsi, capire le rispettive esigenze…Amarsi, semplicemente.”
Divenne rossa.
“Se ad amarsi sono un uomo e una donna diventa tutto più semplice.” Disse Isshin senza neppure cogliere la portata delle sue parole “Mentre è assai più arduo che a comprendersi siano più uomini: tu litighi con tua nonna. Io non ho passato e, probabilmente, sono un rejetto.”
Sentì la mano piccola e calda di Akoya stringere la sua.
Entrambi guardavano nella medesima direzione, guardavano lo stesso punto indefinito davanti a loro.

CONTINUA!...

 
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view post Posted on 3/1/2014, 11:42
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Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

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Capitolo terzo



Isshin mise piede nel villaggio di Nara in un freddo tardo pomeriggio d’inverno. La neve, ai bordi delle strade, aveva creato bizzarre sculture, che molto gli rammentavano le bambole kokashi.
Sorrise, guardandosi intorno in cerca di Akoya.
C’era una fiera o qualcosa di simile.
La gente lavorava alacremente come se il sole splendesse: le ragazze giovani chine davanti ai banchetti della frutta o del pesce erano piacevoli d’aspetto, ma nessuna eguagliava la bellezza della sua salvatrice. I suoi setosi capelli neri con sfumature scarlatte erano davvero singolari, per non parlare dello sguardo lucente e del portamento regale.
Se fosse nata in una reggia, Akoya sarebbe potuta diventare una splendida principessa.
Dacché era guarito, la ragazza era tornata a vivere con la nonna e, per conseguenza, egli rimaneva solo a lungo, in compagnia soltanto della scatola di scalpelli che ella gli aveva portato. Tuttavia, non una statua o un solo abbozzo era uscito dalla sua mano sapiente, ché si sentiva come bloccato da dentro.
E non poteva immaginare che quel <blocco> derivasse proprio dalla sua vita passata, dal suo rifiuto di credere in qualcosa che non poteva comprendere: il grande mistero della vita e della morte porta tanti uomini a una fede incrollabile.
O all’ateismo coriaceo.
Ma, per quanto la convivenza con una giovane che non era sua sposa si fosse interrotta prima di trasformarsi in scandalo, la gente di Nara, chiusa in se stessa per mentalità e tradizione, accolse Isshin nel modo peggiore, sottoscrivendo quanto l’anziana nonna, giorni prima, aveva urlato sprezzante alla di lei nipote.
Lo scultore senza passato, oltre a non dare notizia intorno al <perché> del suo arrivo per ovvi motivi, tradiva con estrema evidenza le sue origini <occidentali>. I grandi occhi azzurri lo smentivano all’istante, per quanto il vestiario fosse, fuor di dubbio, di fattura nipponica.
Ma come lo aveva avuto? E, se era vissuto sempre in Giappone, chi lo aveva condotto nella Valle? Era nato, forse, da una unione sconcia e clandestina?
Mentre incedeva tra le bancarelle, Isshin sentiva che, intorno a lui, veniva a crearsi un vuoto rumoroso, pieno di chiacchiere infondate. Tanto più infondate perché egli stesso non rammentava nulla.
Si sentì disgustato della faciloneria con cui si emetteva sentenza, ma non se ne stupì, ché conosceva l’indole umana.
Si sentì sfiorare da due mani dalle dita lunghe e sottili e comprese, prima ancora di voltarsi, che si trattava di Akoya.
“Ti ho cercata dappertutto.” Fece arrossendo “Stamane non sei venuta…”
Ella schiuse la bocca al sorriso:
“Vuoi dire che non hai trovato la colazione…?”
“No…” disse prontamente Isshin “Non volevo dire…cioè, è solo che dormivo della grossa e non ti ho sentito.”
“Sono arrivata all’alba.” Spiegò la ragazza prendendo a camminare di fianco a lui, incurante dei commenti malevoli “Oggi, ho lavorato nella stalla. La nonna mi ha costretta a ripulirla da cima a fondo perché dovevo fare ammenda.”
“E’ colpa mia, mi spiace.” Si rammaricò lo scultore scrutandola di sottecchi.
Ella non appariva per nulla preoccupata.
“Io amo stare a contatto con gli animali.” Proseguì Akoya “I loro escrementi puzzano esattamente come quelli degli uomini… Inoltre, da essi si imparano molte virtù.”
“La pazienza di certo.” Le fece eco Isshin “Non ti accorgi che siamo additati da tutti gli abitanti del villaggio?”
“E allora perché sei venuto a cercarmi?” chiese la ragazza divertita “Era ovvio che suscitassi un gran vespaio…Se volevi evitare chiacchiere, potevi anche non venire. Anche se…”
Il volto del suo interlocutore, rosso d’emozione, si fece interrogativo.
“Anche se sono felice tu lo abbia fatto!” cinguettò Akoya con una dolcezza nella voce che lo sciolse del tutto.
Ella si <legò> al suo braccio e, incedendo, prese a presentarlo a chiunque le capitasse di incrociare.
Isshin udì nitidamente qualcuno che diceva:
“Guarda, è lui l’uomo di Akoya…”
E pensò che, forse per la prima volta nella vita, sentiva l’esigenza di dedicarsi a qualcuno, di proteggerlo, di amarlo.
Senza immaginare come potesse essere possibile, si era scoperto attratto da quella ragazza sconosciuta e misteriosa. La sua dote, un misto di bellezza e saggezza, era appetibile agli occhi di un giovane pieno di valori qual era lui.
In quella o in una vita precedente.
“Senti, Akoya, non ti sembra di vivere troppo all’occidentale?” le domandò a bruciapelo mentre passeggiavano.
“Seguire il proprio cuore significa vivere all’occidentale?” fece di rimando l’altra “Allora, sì, vivo sicuramente all'occidentale. Di che cosa ti preoccupi, mio caro?”
“Sei una ragazza in età da marito e ciò potrebbe nuocerti.” S’arrischiò Isshin fermandosi di colpo davanti a lei.
Voleva carpire la sua reazione e la cosa ebbe su di lui un effetto ancora più devastante.
“Un uomo cui piaccia una donna e a cui questa donna fa capire di provare i medesimi sentimenti può commettere tante imprudenze.” Disse con un fil di voce lo scultore.
I lunghi capelli di Akoya gli lambivano, ora, le braccia.
“Di quali imprudenze parli? Per quel che ne so io, un uomo e una donna che si innamorano, s’amano e basta.” Fu la sua risposta.
“Sei una donna strana. Ed io lo sono altrettanto. Se fossi una persona dabbene, dovrei fuggire lontano da te mille miglia, ché le tue parole odorano di spaventosa leggerezza. Una ragazza in età da marito, come ho detto prima, deve trovarsi <degna>.”
“Ma tu non mi consideri indegna.” Sorrise maternamente Akoya “E’ così, mio caro?”
“Se anche lo fossi, non riuscirei a frenare…” provò a dire Isshin.
Ma la nonna, che li aveva seguiti come un segugio per buona parte del tempo, batté forte sulla sua spalla, facendolo sussultare:
“Hai proprio deciso di essere la causa della rovina di mia nipote, oltre che di tutta la valle?”
Il volto dello scultore si fece subito cupo.
“Nonna!” la rimproverò Akoya “Stai dicendo delle parole tremende! Come puoi dire che Isshin è foriero di sventure! È una creatura degli dèi e nessuna creatura degli dèi può essere fonte di disgrazia!”
Isshin ridacchiò amaro:
“Ne sei davvero persuasa, dolce fanciulla?”
Si stupì di sé e del suo dire. Pareva, infatti, che qualcuno gli avesse messo in bocca quelle parole: il loro suono non era del tutto nuovo alle sue orecchie.
“Gli uomini” proseguì Isshin “hanno una volontà che tende al male e, quando si avvicina il loro tempo, si affidano agli dèi. Ma chi può dire se esistano?”
“Blasfemo!!!” urlò l’anziana.
Egli lasciò Akoya costernata in compagnia di sua nonna.
I passi lo condussero di nuovo nella zona sacra, dov’era stato accolto e curato dalla sua salvatrice.
“Se questo posto fosse davvero caro agli dèi, un indegno come me non potrebbe neppure accedervi. Sarebbe fulminato all’istante.”
Si accucciò sotto un albero di susino come fosse assalito da oscure forze e iniziò senza volerlo a piangere sulle proprie miserie.
Non era il passato che gli mancava.
Non gli importava del suo nome, da quando viveva a Nara. Akoya si rivolgeva a lui con affetto in ogni caso. Eppure, c’era qualcosa che lo rimandava alla sua indegnità.
Ella non temeva di essere <leggera> agli occhi del popolo e ai suoi stessi occhi di giovane uomo ancora scapolo, ma lui sì: aveva paura di non meritare affetto. Non da una creatura tanto speciale.
La conosceva da pochi giorni e già i tormenti d’amore erano straripati dal suo cuore fino a raggiungere la testa, ora piena di lei. Nutriva troppo rispetto per approfittarsi dell’affetto che sentiva provenire dalla stessa Akoya.
Ma, anche se ricambiato con evidenza, non poteva ambire a qualcosa di diverso che una semplice amicizia: il villaggio lo accettava a malincuore, per non parlare del parentado della ragazza.
Se avesse potuto ucciderlo con le sue mani, la nonna lo avrebbe fatto senza pensarci due volte.
“Gli uomini sono pieni di sciocche superstizioni. Ed io non faccio eccezione.”
Mentre parlava così, una pioggia di petali scarlatti prese a cadere dalla chioma dell’albero presso il quale aveva trovato rifugio. La sinfonia di colori che si aprì davanti a lui gli tolse ancora una volta il fiato: il bianco della neve e il rosa si fondevano magicamente, come a rammentargli qualcosa di arcano.
“Mistero! Tutto è mistero!” sbottò “Il mistero è la causa dell’infelicità dell’uomo.”
Mentre si alzava, una figura delicata si palesò, da lontano, alla sua vista. Era coperta dal kimono, certamente per ripararsi dal nevischio gelido.
Eppure – Isshin ne era certo – non c’era gelo, in quel momento.
“Chi c’è laggiù?” chiese “Fatti vedere!”
Due passi in avanti, ma, mano a mano che procedeva, la figura si faceva più evanescente, lasciando lo <spazio visivo> ad una pianta secolare maestosa, dal fusto incredibilmente possente.
Le curve del susino scarlatto erano sinuose; parevano turbini in fuga verso le stelle e i petali che cadevano da esso creavano a loro volta piccoli vortici, quasi ne imitassero la postura.
Raramente, il giovane scultore si era trovato davanti un albero così incantevole.
Appoggiò la mano ad una piega legnosa, percependone forza e calore. Nel farlo, aveva pensato per qualche oscuro motivo ad Akoya e, pertanto, il suo tocco era stato delicato, gentile.
Levato il capo in alto, Isshin vide il cielo come aperto sull’universo.
“Com’è possibile tutto questo?” si chiese scioccato.
Tutt’intorno la neve sottile cadeva ricoprendo la ghiaia, la terra e qualsiasi cosa non fosse al riparo.
“E’ un braccio della Via Lattea…”
“E’ un mistero…” disse una voce femminile da dietro al tronco dell’albero. Isshin la ricondusse subito ad Akoya.
“E’ un mistero” Proseguì quest’ultima “che tutti gli elementi, seppur diversi, convivano insieme. La disarmonia è solo negli occhi dell’uomo, che pretende di ordinare tutto come fosse un dio. Le nuvole non possono convivere col sole. Le stelle non possono vedersi se nevica.”
“Akoya,” fece Isshin avvicinandosi di più “difendendomi da tua nonna, hai detto che l’uomo è pur sempre una creatura degli dèi e, come tale, sacra ai loro occhi.”
“L’uomo è una creature come tutte le altre, che aspira alla perfezione.” Rispose con saggezza la ragazza “Non c’è nulla di male nel vagliare le proprie capacità, realizzandosi attraverso i doni che la Natura ha concesso. Il <problema>, semmai, è la brama di sopraffazione che deriva dal prendere coscienza del proprio limite. Anche per noi, nella vita reale, esistono dei limiti. Il buon cittadino li rispetta e chi non lo fa non è un buon cittadino.”
“C’è una linea sottile, tra la bontà e la malvagità.”
“Un fiore aspira ad essere quel che è.” Riprese Akoya “Ma non l’uomo. Tuttavia, mio caro, quella linea di cui parli, pur esistente, non separa la malvagità dalla bontà. È la luce che si contrappone all’oscurità. Ma, agli occhi degli dèi, l’oscurità è il potenziale, non <il male>.”
“L’uomo genera il male da sé, allora?” chiese lo scultore scrutandola negli occhi scuri “Dalla sua ansia di libertà scaturisce la perversione.”
Akoya sospirò:
“Si dice che, tra non molto tempo, il progresso umano sarà tanto e tale che questo mondo, la stessa valle in cui noi dimoriamo e ci sentiamo così protetti, cambieranno aspetto. Muteranno radicalmente.”
“Parli del terremoto?” l’incalzò Isshin “Non credo siano <punizioni> del cielo. Tutto il Giappone poggia su un grappolo di vulcani. Viverci sopra e pagarne lo scotto è automatico, non trovi?”
“Non mi riferisco alle punizioni.” Lo corresse con dolcezza l’altra.
Si appoggiò al tronco, come se traesse forza dalla creatura che, in qualche modo, sosteneva il suo peso:
“Non credo nelle punizioni del cielo come catastrofe fine a se stessa. Gli dèi non cercano la vendetta. Parlo, piuttosto, di quel che l’uomo saprà fare in piena autonomia: tra meno di cinquant’anni, si vedranno cose che, adesso, ci sembrano fantasie sciocche e assurde.”
“Ad esempio?”
Ella si scostò, prendendogli dolcemente un braccio:
“Verrà un tempo in cui solcheremo i cieli senza ali. E sarà solo l’inizio.”
“Da qualche parte, in Europa, lo fanno già. Con un pallone pieno di gas, pensa…” ridacchiò Isshin accostando il suo viso a quello della ragazza.
“E si arriverà a tanto altro, amor mio.”
Il ragazzo rimase di sasso. L’espressione accorata di Akoya lo aveva sconvolto al punto da renderlo immobile come una statua.
“Come…hai detto?”
La voce gli era uscita a stento.
“Amor mio…” rispose la giovane.
E appose le sue labbra su quelle di Isshin.

CONTINUA!...

 
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view post Posted on 4/1/2014, 03:04
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cramen

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Mi sono riletta il punto di vista di Masumi, che dire sei stupefacente.....ma questo tu lo sai giá....sono ormai le 3 del mattino, con soddisfazione ti rinnovo i miei complimenti
 
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203 replies since 20/4/2010, 16:11   15493 views
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