Grazie, Emer!
Epilogue.
Scrivo a Mizuki un sms per comunicarle che non passerò a prenderla.
Allo Shuttle X arriverò con un po’ di anticipo perché debbo sincerarmi che il carico di rose arrivi prima che lo spettacolo abbia inizio. Non posso permettere che Maya vada in scena senza il supporto delle sue sospirate rose scarlatte.
Masumi Hayami mi ha chiesto di inviarne ben 2190.
Più una.
Nessuno sa, a parte io e lui, il perché di una cifra simile che rischia di far esplodere letteralmente il foyer.
Sono sei anni che la ama. E sei anni moltiplicato per 365 giorni fa 2190. Gli anni bisesti non li ha contati neanche. Del resto, uno che vive un giorno come fossero due non va tanto per il sottile.
Ho parcheggiato nei posti riservati ai dirigenti. Mi accorgo, scendendo, che l’auto del signor Masumi è già nel sotterraneo.
Chiudo lo sportello, mentre cerco di non danneggiare il ridicolo bouquet di fiori che ho preso come mio personale regalo per Maya.
Entrando in teatro, ho un moto istintivo di nausea: il profumo intenso di fiori giunge alle mie narici nitido, segno che le rose scarlatte sono arrivate, come previsto, due ore prima dell’inizio dello spettacolo.
E, poi, c’è <lei>, la promessa sposa.
Vado verso i camerini, eludendo la sorveglianza grazie al solito <passi> dei dirigenti della Daito che il Presidente mi ha fatto avere e, finalmente, dopo aver percorso un corridoio lunghissimo, giungo alla porta della stanza di Maya.
Sospiro a lungo, cercando di contenere la mia emozione.
So che è nel pieno dei preparativi e forse non gradirà la mia presenza, ma è più forte il desiderio di chiarirmi con lei.
Non parlo con lei dalla sera dell’irruzione del signor Masumi alla panetteria Aoyagi, mentre con quest’ultimo ho avuto modo di chiarirmi immediatamente dopo quegli eventi.
Tutto è andato per il meglio.
Il Presidente sa che gran parte della colpa di quella situazione era attribuibile a lui solo.
Una voce maschile, che riconosco subito, mi invita ad entrare.
Sembra un po’ contrariato, il signor Masumi, ma non del tutto sorpreso.
“Hijiri,” dice “qual buon vento ti porta?”
“Ho visto la sua futura sposa, nel foyer.” rispondo con aria truce “Non crede sia il caso raggiungerla?”
Il Presidente sfila dal taschino il portasigarette d’argento e mi offre del fumo.
“Almeno stasera” mormora mentre io, senza farmelo ripetere, mi servo “desidero non curarmi di lei e dei suoi nervi.”
Maya è impallidita un poco.
Rimasta in disparte, davanti al grande specchio illuminato, sembra quasi tremare.
Questa situazione di sofferenza non fa bene a nessuno ed io stesso, per quanto Mitzuki sia entrata prepotentemente nella mia vita, continuo a provare pena sincera e rabbia.
“Maya,” dico avvicinandomi a lei “che cosa avete intenzione di fare?”
Vedo un sorriso timido accennarsi sul volto reso ancora più pallido dal cerone di scena.
“Mi affido a Masumi.” afferma sospirando “Farò tutto quello che lui vorrà.”
Scuoto la testa:
“Accetterai, dunque, il suo eventuale matrimonio?”
“Se sarà necessario…” risponde ella decisa, ma non certo felice della prospettiva.
“E’ pazzesco.” sbraito lasciandomi cadere le braccia lungo i fianchi.
Maya si alza dalla poltrona per venire verso di me.
“Non mi importa se sarà sposato, Karato.” afferma “Io non posso rinunciare a lui e, in qualche modo, sapere che mi ama sarà di conforto.”
“Ma tu sai” dico interrompendola “che cosa significa la parola dovere coniugale? O sei troppo ingenua anche solo per provare a capirla?”
Maya si porta le mani alle orecchie:
“Non devo pensarci adesso. Ora ho solo la dèa scarlatta e, dopo, penserò al diritto, alle filosofie di vita e a tutto quel che vorrai sottoporre alla mia attenzione.”
Si ferma all’improvviso: mi prende una mano, guardandomi dritto negli occhi.
“Ascoltami,” dice “la tua opinione è fondamentale per me, ma non posso pensarci adesso. Mi capisci?”
Annuisco.
“Spero almeno” dico di rimando “che durante lo spettacolo qualcun altro abbia il tempo di riflettere su questi avvenimenti.”
Ho parlato riferendomi a Masumi, che, in tutto questo tempo, non ha detto una sola parola.
So che si sente in colpa; so perfettamente che desidera dare a Maya l’onorabilità di cui gode ogni donna sposata; so che stringere anche solo platonicamente Shiori gli procura nausea e sconcerto.
Vorrei che vomitasse fino a domani, se ciò servisse a scuoterlo.
“Ho una posizione da mantenere” si limita a dirmi il Presidente prima che esca dal camerino “e Maya ha bisogno ancora del mio supporto. I Takamiya sono più potenti degli Hayami ed io non potrei mai permettere che le facessero del male per ritorsione nei miei riguardi. Vigila, te ne prego. Ti prometto che, prima o poi, sistemerò tutto. Non importa quanti anni ci vorranno. Foss’anche una vita, io vivrò con Maya.”
Vedo una grande decisione in quegli immensi occhi azzurri.
La rosa scarlatta appuntata al bavero dello smoking mi sorprende piacevolmente, ma Shiori, che vaga qui fuori, non è certo una sciocca ingenua.
Cosa penserà quando vedrà un fiore del genere sulla giacca del suo fidanzato? Lo stesso fiore che campeggia, invadente e straripante come il desiderio di lui, nel foyer?
Bussano alla porta.
“Signor Masumi,” dice Mitzuki entrando piano e lanciandomi uno sguardo significativo “la sua fidanzata la sta cercando ovunque. La prego, vada da lei, adesso…”
Non sta dicendo tutta la verità e capisco che Shiori deve aver dato spettacolo di sé.
“Non possiamo permettere che rovini lo spettacolo dimostrativo di Maya.” dico al Presidente prendendolo per un braccio “Vada a tranquillizzarla!”
Il signor Hayami esce scontento: il suo fastidio è palese.
Mitzuki lo segue per dargli man forte, mentre io resto al fianco di Maya, come un guardiano attento e pronto a tutto.
“Ci siamo.” le dico dandole un buffetto sulla guancia “Non mi sembra vero”
“Prendimi il kimono, per favore.” mi prega Maya additando lo yukata di seta scarlatta, completato dalla sopraveste bianca di sottilissimo tulle.
Obbedisco, liberando l‘abito, con la massima cura, dalla gruccia di legno.
“Aiutami.” dice portando un po’ indietro le braccia.
Sorrido compiaciuto.
“Che ne dici?” domando scherzosamente “Potrei cimentarmi nell’arte della vestizione?”
Maya sorride a sua volta.
“Sei il migliore.” mormora “E, se stasera reciterò bene, sarai tu il primo che abbraccerò dopo lo spettacolo.”
Ripenso alla nostra prima volta mancata.
“Ti amavo così tanto,” sospiro “ma tu non eri stata creata per me. Non potevo toccarti senza provare vergogna o rimorso nei tuoi confronti e verso il Presidente.”
“Ti ringrazio per non aver approfittato della mia debolezza. Sei un uomo meraviglioso.” dice Maya riconoscente. E poi aggiunge:
“Se fossimo arrivati fino in fondo, quella sera, non me lo sarei perdonato per tutta la vita, ma sarei rimasta con te per sempre.”
Osservo i capelli tirati all’indietro con arte.
“Saresti stata una splendida e generosa sposa, ne sono certo,” dico porgendole la parrucca di scena “ma non sarei mai stato felice come adesso. Anche io sono lieto che non sia avvenuto nulla.”
I nostri rapporti, dopo quella parentesi, si sono fatti più confidenziali, ma non c’è imbarazzo né vergogna per ciò che è stato.
Penso con tenerezza a Mitzuki e, con gli occhi di un uomo perfettamente felice e innamorato, contemplo la dèa palesatasi davanti a me come per incanto.
“Sei davvero meravigliosa, Maya...” mormoro rapito.
Maya sorride con gratitudine e, socchiuse le palpebre in modo significativo, mi corregge:
“Io sono Akoya…”
Ha indossato la maschera della dèa, quella che le assomma tutte, così come l’essere divino racchiude in unità il molteplice.
Il sipario sta per alzarsi.
Questa fic nasce come appendice ad A Scarlet Rose, The Shadow’s Heart (ed è per questo che la inserisco assieme a tutti gli altri punti di vista).
Come vi ho scritto più volte, la stesura del racconto appena concluso è stata semplificata dal punto di vista temporale. Avendo sacrificato completamente la dimensione “futura” ed essendomi accorta che questa possedeva comunque una logicità peculiare, ho pensato di raccoglierla in un unicum e di farne una fiction a parte in appendice a The Shadow’s Heart.
E’ un altro mondo parallelo, un finale alternativo alla storia di Hijiri che avete letto fin’ora.
Partendo dal futuro, questa nuova storia svelerà il passato pian piano, attraverso il racconto di vita vissuta di due inaspettati protagonisti.
Ma, vi rassicuro!, ci saranno sempre gli imprescindibili Maya e Masumi!
Anche se la storia è molto amara (ciò che scrivo è specchio del mio esistere emotivo).
Detto questo, buona lettura!
A Scarlet Rose
- The Possible Future of a Scarlet Shadow -
Ff di
Laura Heller S.Il paesaggio di Nagano è davvero suggestivo, durante la stagione autunnale.
E’ raro che io possa starmene in panciolle fin dal mattino, ma, questo è il mio ultimo giorno di riposo e voglio godermelo tutto.
La riabilitazione si è rivelata laboriosa, complice la mia proverbiale incapacità di star fermo: ciò nonostante, è proseguita senza intoppi ed oggi dovrei lasciare questa casa che è stata teatro di eventi singolari e, fino allo scorso anno, impensabili.
Le mie valigie sono all’ingresso, stracolme dei miei inutili vestiti e pronte per essere stipate nel bagagliaio di una station wagon di colore rosso scuro, una macchina italiana che il signor Hayami mi ha regalato per Natale.
Mi sembra di rivivere il periodo successivo alla morte di mia madre e mia sorella, quando, in ospedale, cercavano di rimettere insieme i pezzi della mia faccia: fu davvero un miracolo di chirurgia plastica, un evento senza precedenti, se si pensa che nei primi anni ottanta la medicina estetica era ancora agli inizi.
Oggi, invece, nel mio petto batte un cuore “nuovo” e, con esso, è arrivata anche la forza di sorriderne: mi sento come una macchina rimessa a nuovo grazie a costosi pezzi di ricambio e, se non fosse per “lei”, potrei anche pensare che la mia identità sia tornata sotterra, come lo Stato e il buonsenso vorrebbero.
Ci sono cose che un uomo come me riesce a fare con maggiore facilità rispetto ad un individuo che vive una vita normale, ma questo non significa che egli sia perfetto, che la sua ombra si allunghi su cose e persone senza malagevolezza.
Inoltre, c’è sempre l’incognita del sentimento, quella possibilità per nulla remota che egli si prenda a cuore l’oggetto che deve salvaguardare.
E, quando teme di non riuscire nel suo intento – la salvaguardia, dico – finisce per buttarsi come un kamikaze nel vortice oscuro che vorrebbe risucchiare la donna che è obbligato a proteggere e alla quale, suo malgrado, ha finito per affezionarsi.
“Affezionarsi” forse è un eufemismo, nel mio caso.
Ma non posso neppure definirlo “amore”, visto che, a dispetto del mio nuovo muscolo cardiaco, sento ancora dentro tutta la ritrosia dei tempi migliori.
Il dottore entra nel salone per annunciarmi che è ora.
Chiede se è il caso sia lui a guidare fino a Tokyo, ma io nego fingendo una energia che, in realtà, non posseggo.
Mi alzo in piedi con disinvoltura, mentre gli dico che sono in perfetta forma, in barba al trapianto e alla gamba offesa.
“Non mi riferivo solo alla situazione fisica.” afferma preoccupato “Per arrivare alla capitale ci vogliono tre ore di viaggio a velocità sostenuta.”
Sorrido, comprendendo perfettamente dove vuole andare a parare:
“Di flashback sconcertanti ne ho a bizzeffe anche stando seduto su una sedia e penso ne avrò per tutta la vita.”
L’uomo sospira.
“Che cosa farà, adesso?” domanda mentre si mette in spalla due enormi borsoni sportivi.
Ci penso su, poi, senza amarezza, mormoro:
“Tornerò nell’ombra, dove è giusto che un uomo morto stia.”
“Signor Hijiri,” soggiunge il dottore “mi auguro che coglierà al volo l’opportunità offertale dal Presidente Hayami.”
Apro la porta d’ingresso senza guardarlo in viso.
“Sono nato e morto due volte.” dico “Non crede sia sufficiente?”
Lo so, sta giudicandomi egoista.
Sta pensando che sarebbe stato meglio che il cuore <nuovo> andasse a qualcuno che ne avrebbe gioito. Io non riesco a farlo, ma quel muscolo che pompa il mio sangue mi appartiene e, per adesso, ho solo la forza di dichiarare che nessuno, a parte me, può ospitarlo degnamente.
Il dottore stipa il bagaglio nel cofano.
“E’ tutto, dunque.” mormora.
“La ringrazio di essersi preso la briga di occuparsi di tutto.” dico indicando con un lieve gesto del capo le valigie.
L’uomo sorride:
“Nella condizione in cui si trova, giuridicamente parlando, non potevo metterle troppa gente intorno. Per non parlare dell’interesse dei media per <la Dèa scarlatta>…E, poi, è sempre così, quando viene a curarsi il Presidente Hayami. Non vuole infermiere, intorno.”
Guardo l’uomo che si è preso cura di me con gratitudine.
“Mi spiace di averla delusa.” dico porgendogli la mano.
“Pensavo” sospira rassegnato “che una persona buona e positiva come lei reagisse in modo diverso a questi eventi. Anche se, mi rendo conto, sono dolorosi e difficili da accettare.”
Nego, mentre penso che i limiti della scienza emergono in tutta la loro drammaticità in circostanze come queste.
Non esistono modi per cancellare i traumi, ma soltanto tecniche per sopravvivervi.
Resto un essere umano, nonostante tutto.
E stavo avendo una parvenza di vita grazie a una donna che aveva con fatica sanato le mie ferite.
Ed ora, pur ospitandola qui, nel mio petto, non riesco a non pensare che non rivedrò mai più quei suoi meravigliosi occhi azzurri.
Giungo al mio “nuovo” alloggio intorno alle due del pomeriggio.
Chiamo al telefono il dottore per rassicurarlo.
Questo posto in cui vivrò, da adesso in poi, non è mio: è stato di qualcun altro, prima di me ed ogni cosa, persino la disposizione della mobilia, me lo ricorda.
Potrei dire di sentirmi vuoto, ma non mi sento vuoto.
Potrei dire di sentirmi bene, ma non sto bene.
Vorrei poter restare solo con la mia solitudine, ma non posso.
I dirigenti della Daito attendono - accomunati da un unico intento - di conferire con me.
Faranno pressione sulle responsabilità che dovrei assumere ed io, al solo pensiero, sto male.
Sono abituato ad essere un’ombra e la cosa che mi piaceva di più della mia vita passata era proprio la mancanza di impegni personali, l’esistere semplicemente in funzione di un incarico: raggiunto lo scopo, potevo staccare la spina e ricominciare da capo il mattino seguente.
Senza stress, senza costrizioni.
Il cuore che mi batte nel petto, invece - il cuore che mi è più caro al mondo - mi impone adesso di dar retta a questi vecchi, ad uno in particolare, che rischia di finire nella tomba senza aver assicurato un futuro al suo regno.
“Karato,” mi dice Chioichiro quella sera “dobbiamo parlare.”
Gin è tornato dall’estero, prontamente richiamato dal Presidente, per convincermi ad accettare la sua proposta.
“Non abbiamo nulla da dirci.” gli rispondo perentorio.
Odio che si faccia leva sull’amicizia per ottenere un rendiconto.
L’amicizia, come l’amore, sono sacri e questo l’ho imparato proprio stando accanto a Masumi Hayami.
“Il Presidente è malato” riprende il mio vecchio amico “ed io credo che solo tu, allo stato attuale, possa prendere le redini della Daito.”
Lo guardo con disprezzo:
“Soltanto io? Mi pare che qualcun altro sia stato al timone della società per quasi un decennio portandola ai vertici del mercato.”
“Sì,” annuisce Chioichiro “ma tu sei al corrente di ogni transazione, essendone stato l’ombra e sei la persona più degna per subentrargli.”
“Lasciami in pace.” mormoro “Il signor Masumi è vivo e, grazie al cielo, anche la donna che ha scelto. Basterebbe che il Presidente, per una volta, non facesse prevalere la sua volontà di potenza.”
L’uomo si accende una sigaretta, ridacchiando piano: ha capito perfettamente quel che intendevo.
E, del resto, per anni, siamo stati inseparabili, io, Chioichiro e Masumi, solidali persino nello scegliere le filosofie occidentali più vicine alla nostra indole.
Ed eccolo lì, <il vecchio>.
Abbandonato da tutti, la sua unica compagnia sono una sedia a rotelle, la rabbia inestinguibile, dei ricordi malconci e corrotti.
Si credeva una fortezza inattaccabile.
Dispensava ordini a chiunque: non importava se si trattasse di un garzone o di un superdirigente.
Manipolava destini senza curarsi dei sentimenti che ogni uomo ha dentro, cose che possiede per corredo, al pari delle ossa e del sangue.
Un uomo non è un pezzo degli scacchi.
E adesso che qualcuno ha trovato la forza di lasciare questo campo di battaglia, dove molte persone hanno sprecato la loro vita, chiede - a me! - in nome di questo cuore e di tutto quel che ha fatto a mio beneficio nel corso degli anni, di essergli al fianco.
Pensavo fosse una disperata reazione, ma comincio a credere che sia l’inestirpabile orgoglio a muoverlo.
Basterebbe che abbassasse la testa per una volta.
Basterebbe fare una telefonata, dire che si è sbagliato.
Riotterrebbe un futuro per la sua azienda, metterebbe le mani anche sul suo “sogno” di sempre.
Ma non lo farà, piuttosto preferisce bruciare all’inferno.
“Tu hai le tue ragioni.” riprende Gin “E anche a me la situazione dispiace perché Masumi è mio amico fraterno da venticinque anni. Tuttavia, la situazione è cambiata. Adesso…”
Indica il mio petto.
“No!” urlo “Non vi permetterò di usare questa escamotage! Il Presidente ha già un figlio. Faccia ricorso a lui o lasci la Daito andare incontro al fallimento!”
Le mani iniziano a tremarmi in modo vistoso. Sento un gran calore salirmi in capo.
Vecchio egoista!
Ha mentito a tutti ed ora, in virtù di ciò che ha ottenuto usando violenza, pretende di comandare a bacchetta.
Non c’è perdono.
Se Masumi stesso non può perdonarlo, come posso farlo io?
Anche se “lei”, quell’angelo senza ali che mi salvò la vita mi ispira pietà, tenerezza e perdono, non riesco a dimenticare.
Chioichiro sospira.
“Vai a riposare, Karato.” dice mettendomi una mano sulla spalla “E, se non ti duole troppo quel cuore che hai in petto, pensa a quanto ti ho detto. La società dà lavoro a un migliaio di famiglie e nessuno meglio di te può sapere cosa significhi per un padre non avere la possibilità si sfamare i propri figli.”
Continua lunedì!